Sono trascorsi due anni dalla morte di Benedetto XVI. Fino all’ultimo il Papa emerito mantenne tutta la sua lucidità intellettuale, pur nella progressiva perdita di forze fisiche. Significativamente Joseph Ratzinger annunciò in latino al mondo la sua rinuncia al pontificato perché il testo lo aveva concepito in quella lingua e i due errori ravvisati erano dovuti all’errata trascrizione della frase scritta nella sua grafia minuta che riusciva a decifrare solo Ingrid Stampa, appartenente al movimento spirituale di Schoenstatt, assistente di Joseph Ratzinger dall’inizio degli anni Novanta. La mancanza di forze sufficienti per governare la Chiesa, a cui Benedetto XVI attribuì la rinuncia al pontificato, lasciò aperto il campo alle interpretazioni, quasi come fosse una dichiarazione per far sapere al mondo di non avere più le energie necessarie per reagire a una situazione di crisi nella Chiesa, in conseguenza anche dello scandalo Vatileaks che comunque non negò mai che gli procurò una profonda e insuperabile sofferenza. Nel penultimo giorno di pontificato, Benedetto XVI ci tenne a dire di non aver abbandonato la Croce ma di essere rimasto ai piedi della stessa.
Quello che ha eletto Ratzinger fu in ogni caso uno dei conclavi più rapidi della storia contemporanea. Nel Novecento il record spetta a Pio XII, eletto nel 1939 con appena tre scrutini. A Benedetto XVI ne è stato sufficiente uno solo in più, quattro, come a Giovanni Paolo I. Cinque scrutini furono invece necessari per eleggere Paolo VI (1963); otto scrutini per Giovanni Paolo II (1978); undici per Giovanni XXIII (1958). “Quanto ai motivi che spinsero la maggioranza dei cardinali a scegliere Ratzinger, furono dichiarati da numerosi partecipanti – scrive il vaticanista Lucio Brunelli – L’indiscussa autorevolezza morale ed intellettuale del personaggio, la continuità con il pontificato di Karol Wojtyla, pur dentro una maggiore sobrietà di stile e di dottrina. La garanzia (fornita dall’età) di un pontificato meno lungo del precedente. Il modo convincente con cui Ratzinger aveva gestito nella veste di decano del Sacro collegio prima i funerali di Wojtyla. Poi le congregazioni generali che avevano preparato il conclave. Quasi una prova (superata) da papa”. Un merito che un’ampia maggioranza dei cardinali elettori gli aveva riconosciuto. Nel diario del conclavista anonimo, resta annotata la perplessità di alcuni porporati di fronte al potenziale conflitto d’interessi in cui si era venuto a trovare un decano che era anche un papabile. Per ovviare a un simile inconveniente alcuni cardinali proposero che, in futuro, a ricoprire la carica di decano fosse scelto un cardinale ultraottantenne e quindi escluso per limiti anagrafici dal conclave. Ratzinger non aveva cercato a ogni costo l’elezione, ma una volta asceso al Soglio di Pietro mise subito a frutto i suoi talenti. Sorprese molti per il linguaggio semplice e diretto delle sue encicliche. Deus Caritas est, sull’amore cristiano (2006). Spe Salvi, sulla speranza cristiana (2007). E Caritas in Veritate (2009) sullo sviluppo umano integrale.
Afferma padre Federico Lombardi, ex portavoce della Santa Sede e presidente della Fondazione Ratzinger: “Il modo in cui il Papa emerito ha vissuto gli anni successivi alla rinuncia al pontificato corrispondeva a quello che ci aveva detto. Cioè vivere nella preghiera, nel ritiro spirituale e con estrema discrezione. Fornendo il suo servizio di accompagnamento nella preghiera della vita della Chiesa e di solidarietà anche con il suo successore, proprio nella sua responsabilità. E tutto ciò in piena serenità”. Francesco ha sempre detto di sentire molto “il sostegno di questa presenza e di questa preghiera“. E, racconta padre Lombardi, “di aver coltivato questo rapporto, a volte con delle visite, a volte con delle chiamate telefoniche, certamente con molti segni di familiarità, di rispetto e di attesa del sostegno spirituale“. Quindi la coabitazione di due papi, aggiunge padre Lombardi, “era una realtà inedita ma bella e consolante. Tutte le volte che vedevamo delle immagini di Francesco e il suo predecessore insieme era una grande gioia per tutti e un bell’esempio di unione nella Chiesa, nella varietà delle condizioni“.
Un’armonia e un’ammirazione testimoniate dal pensiero rivolto da Francesco al suo predecessore in occasione del suo 65° anniversario di sacerdozio. “Santità, oggi festeggiamo la storia di una chiamata iniziata 65 anni fa con la sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nella Cattedrale di Freising il 29 giugno 1951 – disse Jorge Mario Bergoglio – Ma qual è la nota di fondo che percorre questa lunga storia e che da quel primo inizio sino a oggi la domina sempre più? In una delle tante belle pagine che Lei dedica al sacerdozio sottolinea come, nell’ora della chiamata definitiva di Simone, Gesù, guardandolo, in fondo gli chiede una cosa sola: ‘Mi ami?’ Quanto è bello e vero questo! Perché è qui, Lei ci dice, in quel ‘mi ami?’ che il Signore fonda il pascere, perché solo se c’è l’amore per il Signore Lui può pascere attraverso di noi: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo‘. E l’augurio con il quale desidero concludere è perciò un augurio che rivolgo a Lei e insieme a tutti noi e alla Chiesa intera. Che Lei, Santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio. Che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede!”. Di Benedetto resta la lezione indelebile: “Chi crede si affida completamente a Dio. E per questo non teme di perdere nulla, avendo Lui come ricchezza”.