In questi venti anni di presenza del Rinnovamento nello Spirito Santo e della nostra Fondazione “Alleanza del RnS” in Moldova, abbiamo toccato con mano le grandi emergenze umanitarie a cui il Paese è stato sottoposto, per la trascuratezza politica interna ed esterna, a partire dalla vicenda della Transinistria, passata nel silenzio colpevole di tutti.
Fu san Giovanni Paolo II, esattamente il 14 marzo 2002, a chiederci di farci missionari in questo angolo di mondo, per aiutare nella plantatio ecclesiae. Prima del crollo del muro di Berlino e della scomposizione della Federazione Russa, non esisteva la Chiesa Cattolica nel territorio poi divenuto Repubblica di Moldavia. Ora, è incredibile immaginare come questo Paese, il più povero d’Europa, possa far fronte all’esodo di mamme e bambini ucraini.
Come noto, sono già oltre 120mila i rifugiati ucraini, soprattutto a Chisinau. Sono praticamente tutte donne con bambini: se ne sono contati almeno 30.000, un numero impressionante! Abbiamo visto spostarsi verso la Capitale persone di ogni età e di ogni etnia, la maggior parte in transito verso mete migliori: del resto, chi, lasciando per necessità la propria patria, migra per risiedere in una Nazione più disagiata di quella da cui è partito? A Chisinau disponiamo di un nostro Centro missionario e sociale, che lavora a sostegno delle famiglie e delle comunità cristiane che sono in tutto il Paese. Abbiamo deciso di metterlo a disposizione per un piano mirato di accoglienza e di assistenza materiale e spirituale, d’intesa con la Fondazione “Regina Pacis”, impegnata nell’organizzazione e nella logistica.
Vogliamo realmente fare di questa emergenza un’opportunità, per dare corso a quella carità giubilare che caratterizza un Anno speciale per il Rinnovamento in Italia, sensibilizzando tutti a essere spiritualmente impegnati in questa missione di giustizia e di pace. Sono 22, tra bambini e donne, i rifugiati ucraini che abbiamo deciso di accogliere e che hanno oltrepassato il confine moldavo senza i loro mariti, rimasti al fronte a combattere. La speranza è che le famiglie che stiamo accogliendo possano fare presto ritorno nella loro terra, nelle loro case se, mai più, le troveranno non distrutte. Per il momento, continuiamo a promuovere, anche nei confronti di queste persone in drammatica necessità, quella evangelizzazione ecumenica che, nel tempo, abbiamo cercato di garantire a tutta la comunità nazionale, realizzando anche negli ultimi anni, in collaborazione con il Governo, protocolli universitari e sanitari rivolti alla cura dei bambini, in special modo di quelli disabili mentali.
Non si dimentichi che la Repubblica di Moldavia è un territorio abitato da cristiani ortodossi; la popolazione cattolica non arriva all’1%. Siamo nel pieno di un conflitto assurdo, militarizzato e privato di un vero dialogo. Le armi non hanno mai generato pace e nessuna pace armata ha mai risolto il destino di un popolo. La sfida storica è sempre una e la stessa: riuscire a disarmare l’offensore più che armare l’offeso, anche quando occorre riconoscere e sostenere il diritto alla difesa di un Paese oggettivamente destinato a soccombere. In realtà, quasi sempre si ricorre al sostegno militare quando la diplomazia manca di convinzione, scarseggia di reciprocità, fallisce nelle volontà. La mia impressione è che non si sia creduto, da subito e senza mai smettere, nel potere della mediazione e dell’amicizia tra popoli e governanti.
Dobbiamo essere realisti: si raccoglie sempre ciò che si semina. Sono stato Rappresentante speciale del nostro Paese per i diritti umani in OSCE, nell’anno di Presidenza Italiana, nel 2018, e ho avuto modo di constatare come, in UE e negli USA, non si siano mai veramente e sinceramente ascoltate le ragioni delle parti oggi in conflitto, disattendendo una vicenda atavica e dolorosa che ora esplode in tutta la sua complessità sotto i nostri occhi, colpevoli di essere rimasti socchiusi. Stiamo parlando di un conflitto nel cuore dell’Europa, crocevia di culture che hanno trovato nel Vangelo e nell’umanesimo cristiano la loro originalità identitaria e la sola possibilità di esperimentare unità nella complessità. I credenti e i cittadini dell’Occidente hanno, nella preghiera e nella prossimità verso chi soffre ingiustizia, la loro più potente forza espressiva: non può mai mancare, non deve mancare proprio ora.