Venerdì 6 novembre sono scattate le nuove misure di contenimento della pandemia più volte annunciate e, alla fine, contenute del DPCM del 3 novembre non senza uno strascico di polemiche e di contestazioni soprattutto da parte della regione più popolosa e più “pesante” a livello economico della penisola: la Lombardia.
Non giriamoci intorno, nella regione del nord la situazione non è rosea, ci sono province molto colpite dalla seconda ondata, con l’area metropolitana di Milano in situazione critica, e altre che, invece, hanno numeri assai più contenuti, come Bergamo, anche perché avevano pagato un prezzo pesantissimo questa primavera; l’intera regione è stata, quindi, inserita in zona rossa ed è scattato un nuovo lockdown su tutto il territorio, indipendentemente dai dati locali.
Non è il caso, ovviamente, di discutere del mezzo giuridico usato dal governo per gestire, fin dall’inizio, la crisi né della decisione di richiudere ma sarebbe utile soffermarsi su cosa potrebbe implicare questa ulteriore stretta che colpisce, tra le altre, la regione che da sola vale il 22% circa del PIL italiano.
I dati economici sono stati mostrati più volte e qualcuno, ingenuamente, ha esultato per il +16,1% registrato nel Q3 2020 dall’economia italiana o dopo il -13% del Q2 quando il tendenziale annuo continua a indicare un possibile -8,2% e qui sta il punto iniziale del ragionamento.
Se dopo un trimestre di chiusura quasi totale non si fosse registrato un incremento così ampio sarebbe stato assai preoccupante, il risultato indica solo che la “macchina” produttiva è sopravvissuta, anche per merito dell’azione degli istituti di credito che hanno accolto le indicazioni del cd Decreto Liquidità finanziando le imprese laddove possibile per permettere loro di superare il periodo, sia dando loro liquidità sia anticipando l’erogazione della Cassa Integrazione per i dipendenti.
Il problema è che la ripresa, per quanto impetuosa inizialmente, necessiti di tempo, i primi dati sono relativi a ordinativi precedenti e alla ripresa del lavoro che, comunque, come un “vecchio diesel” necessita di scaldare il motore prima di riprendere la velocità di crociera.
Mentre, però, le aziende produttive e quelle di servizi possono, se pur con fatica, fermarsi per un periodo e ripartire se la liquidità in cassa le sostenga un problema assai più rilevante si verifica nel caso del settore della ristorazione e del turismo, già pesantemente colpito dal primo lockdown e, oggi, ancora bloccato dalle norme di prevenzione applicate a Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Calabria.
La chiusura quasi totale di queste regioni potrebbe essere un colpo fatale per molti, per questa ragione il Governo già parla di un “decreto ristori bis” che seguirà quello emanato da poco e di cui abbiamo già parlato indicandone l’assoluta inadeguatezza per il sostegno alle aziende se non accompagnato da altri provvedimenti che è fortemente dubbio che vengano mai anche solo ipotizzati, come la cancellazione delle imposte dovute per il 2020 a sostegno della continuità aziendale.
Spesso si è sentito, poi, parlare di “potenza di fuoco” relativa alle capacità di spesa, come nel caso delle risorse a copertura dello scorso Decreto Ristori anche qui questa capacità non c’è o, meglio, è prevista una spesa a debito andando a pesare ancora sullo sconquassato bilancio italiano che vede saldi finanziari in perenne peggioramento con un’accelerata evidente da quando questo governo sia in carica.
Pensare di poter coprire questi disavanzi con il Recovery Fund è quantomeno ingenuo, fosse anche perché non è così palese che l’Italia possa accedere a tutta la linea di credito prevista per via delle condizionalità lì previste, il programma SURE ha già iniziato a erogare finanziamenti ma sono finalizzati al sostegno dell’occupazione e andranno a coprire parte dei costi della Cassa Integrazione che, però, senza un vero sostegno alle aziende sarà un mero intervallo tra l’apertura della crisi e i licenziamenti collettivi che si vedranno non appena il blocco imposto per legge oggi vedrà la fine.
Il “mini” lockdown imposto porterà ancora più in basso la capacità produttiva delle aziende non solo lombarde e piemontesi, ad esempio, ma anche tutto l’indotto che queste generano amplificando lo stato si crisi che senza un debito sostegno sarà impossibile evitare.
Qui entrano in gioco i ristori che, come già si diceva, altro non sono che una scommessa sulla capacità di reazione del comparto aziendale al ritorno alla normalità e alla sua capacità di generare reddito e, di conseguenza, gettito fiscale che possa permettere di riagguantare un sentiero di rientro dall’esposizione debitoria.
Ovvio che se questi ristori fossero troppo contenuti sarebbero inutili, oltre che controproducenti, in quanto visti come una beffa. In più va segnalato che l’erraticità dell’azione di governo, incapace di mantenere una linea coerente e sempre di rimbalzo ai dati e alle reazioni della popolazione, impedisce la formazione di aspettative certe per il futuro e, come si è più volte sottolineato, i mercati chiedono certezze per poter programmare spese e investimenti, contrariamente si ritraggono in un atteggiamento attendista.
Questo è quello che si sta verificando e un -10% al tasso di crescita del PIL a dicembre potrebbe essere, oggi, un auspicio anziché un timore. Che fare, quindi?
La prima cosa sarebbe quella di smettere di agire “in solitaria” e aprire a una maggiore collegialità a livello parlamentare per il sostegno all’azione dell’esecutivo, è palese l’approssimazione e la media impreparazione degli esponenti della maggioranza non solo nella gestione della pandemia, che ci sta anche per via dell’eccezionalità dell’evento, ma soprattutto nella fissazione delle politiche economiche, spinte più da indirizzi ideologici che pragmatici, nella previsione degli investimenti e delle azioni di sostegno al reddito di lavoratori e imprese.
I mali dell’Italia vengono da lontano e non sono mai stati affrontati realmente, soprattutto per questioni di consenso in un clima da campagna elettorale perenne, e non è onesto intellettualmente additarli solo a questa maggioranza e a questo esecutivo ma non è possibile che, pur potendo contare su elasticità di bilancio mai viste prima e su finanziamenti comunitari ingenti (anche rifiutati per ottusa opposizione politica, come per il MES) non si sia messo in cantiere alcuna azione strutturale per permettere la ripartenza dopo la fine dell’emergenza sanitaria.
Non dico che le ricette migliori siano proposte dall’attuale opposizione ma sicuramente una maggiore collegialità e un dialogo serio volto a superare la situazione contingente potrebbero portare a risultati meno contestabili e contestati di quelli che si sono visti finora.