La maternità e le difficoltà a conciliare e condividere le esigenze di cura familiare con la vita lavorativa, rappresentano, insieme ad altre diffuse forme di disuguaglianza, le principali condizioni che continuano ad allontanare, in particolare le lavoratrici, dal mercato del lavoro.
Sono le donne, infatti, che ancora oggi si sobbarcano quasi per intero la cura genitoriale e familiare e sono costrette spesso a rinunciare al posto di lavoro. Questo è il quadro che emerge anche dalla nuova “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e lavoratori padri” relativa all’anno 2020, presentata in questi giorni dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), in collaborazione con la Consigliera nazionale di Parità. Nel 2020 sono stati complessivamente emessi 42.377 (lavoratrici nel 77,4% dei casi) provvedimenti di convalida, in numero inferiore (-17,8%) rispetto ai 51.558 del 2019; ciò dovuto però in larga parte ai provvedimenti del Governo – congedi Covid, lavoro da remoto ecc. – che hanno arginato una situazione altrimenti più drammatica a causa della pandemia. Le convalide hanno interessato prevalentemente lavoratrici e lavoratori di nazionalità italiana (86%). Il loro numero, pari a 36.285, registra un incremento del 2% sull’anno precedente; di essi il 79% è riferito a donne e il 21% a uomini. Oltre il 9% del totale (3.875) – 10% nel 2019 –è rivolto a cittadini di paesi terzi, di cui il 63% sono lavoratrici madri e il 37% sono lavoratori padri. Oltre il 5% del totale (2.217 provvedimenti) – 6% nel 2019 – riguarda invece cittadini UE, di cui il 77% è rappresentato da donne e il 23% da uomini.
Proseguendo nell’analisi per tipologia, le dimissioni volontarie sono state 40.021, di cui 30.911 donne e 9.110 uomini, mentre le risoluzioni per giusta causa sono state 1.595, di cui 1.369 donne e 226 uomini e, infine, quelle di natura consensuale sono state 761, di cui 532 donne e 229 uomini.
Sul complesso delle/dei richiedenti, il 61% ha 1 figlio (59,5% nel 2019), il 32% 2 figli (33,1% nel 2019 e il 7% più di 2 (7,4% nel 2019). L’età del figlio che più incide in questo fenomeno è quella fino a 1 anno, seguita da quella fino a 3 anni. Risulta chiaro, pertanto, come la difficoltà di conciliare l’occupazione con la cura dei figli rimane in cima alle motivazioni che hanno determinato la rinuncia al lavoro. Ciò dimostra, ancora una volta, come la carenza di flessibilità nell’organizzazione del lavoro resti, insieme a quella dei servizi di supporto per l’infanzia, uno degli ostacoli principali alla salvaguardia del posto di lavoro.
Senza parlare del fenomeno delle “dimissioni in bianco”, sicuramente presente, anche se “in incognito”, tra i motivi dell’abbandono del posto di lavoro. Ricordiamo a riguardo che prima con la legge Fornero del 2012 e poi con il successivo Jobs Act è stata messa a punto una nuova procedura telematica che dovrebbe consentire di ostacolare a monte questa bieca forma di discriminazione. Ma su questo non abbiamo dati certi per capire se funziona realmente. Non dimentichiamo, inoltre, come tutto questo va a riflettersi negativamente sulla natalità, che ha raggiunto nel 2020 il livello più basso di sempre (404 mila nuovi nati) e che le stime per il 2021 non prefigurano nulla di buono: l’Istat prevede un ulteriore calo delle nascite (384 mila) e, se non saranno prese misure di contrasto adeguate, la curva demografica proseguirà la sua discesa anche quando si saranno esauriti gli effetti negativi della pandemia.
Il nostro Paese è a un bivio, il tempo di scegliere e di scegliere bene è ora. Bisogna dar gambe ai buoni propositi inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a partire da un utilizzo oculato e proficuo delle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea tramite il “Next Generation Eu”. Serve più coraggio in termini di strategie politiche per rilanciare lavoro femminile, maternità e condivisione della cura familiare ancora troppo sbilanciata sulle donne. Occorre investire in maniera più consistente, altresì, in infrastrutture socio-assistenziali e servizi per mettere al riparo il lavoro delle mamme, sostenere concretamente il desiderio di genitorialità delle coppie e salvaguardare dal rischio di povertà le famiglie, in particolare con figli. Incentivare, infine, forme di organizzazione del lavoro più flessibili, soprattutto attraverso il potenziamento della contrattazione collettiva, in particolare di secondo livello, aziendale e territoriale, che può contribuire in maniera determinante alla soluzione di tutte queste problematiche.