Secondo una prospettiva clinica, il “disturbo da gioco d’azzardo” (D.G.A.) – che va a sostituire la denominazione di “gioco d’azzardo patologico” (G.A.P.), presente nella precedente edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) – è classificato tra le affezioni mentali.
Questo cambiamento di “etichetta” – prima ancora, l’appellativo era “impulso patologico al gioco d’azzardo” (1984) – non altera il significato di tale disturbo mentale che è descritto come uno stato che compromette sia la salute psico-fisica del giocatore sia la sfera lavorativa e relazionale dell’individuo, a causa dei problemi economici e legali conseguenti.
Il gioco d’azzardo patologico (o gambling patologico) è, quindi, un disturbo psichiatrico, considerato una forma di dipendenza comportamentale, che presenta alcuni tratti caratteristici, in comune, con la dipendenza da sostanze stupefacenti. Il D.G.A. è stato, infatti, riclassificato tra i disturbi correlati alle sostanze e dipendenze, per le sue similarità con i disturbi propri delle dipendenze da alcol e dalle altre sostanze d’abuso. E’ innegabile che il rilascio di dopamina, durante il gioco d’azzardo, “sequestra” i circuiti cerebrali preposti al piacere e determina una fortissima dipendenza psicologica.
Giocare d’azzardo non rappresenta un malum in se ma soltanto un malum quia proibita, ossia un problema sociale e giuridico, in funzione delle modalità concrete con cui esso viene praticato. Il semplice ed occasionale incontro con il gioco d’azzardo diviene un problema patologico allorquando sviluppa un vero e proprio processo di dipendenza: diventa un’attività “emotiva insostituibile”, capace di trasformarsi, con il passare del tempo, in una forma di compulsività comportamentale, tale da provocare nei glambers, e di conseguenza nei loro familiari, pesanti riverberi sul piano del vivere sociale.
Oltre che sul piano della salute, gli effetti della dipendenza da gioco d’azzardo si estendono anche all’ambito sociale del singolo glamber patologico, le cui condotte possono sfociare anche nell’illegalità, come ad esempio, nella commissione di appropriazioni indebite, truffe, furti, rapine, ricettazioni, minacce ed estorsioni. A tali fattispecie di reato, sovente, si aggiungono poi le ipotesi di gioco d’azzardo in siti illegali, nelle quali il giocatore diventa spesso, la parte offesa del reato, la vittima di estorsioni, minacce e ricatti. E’ evidente che la persona che cade nel disturbo del gioco d’azzardo è, sicuramente, un soggetto a rischio, generatore di costi individuali e sociali su più livelli: economico, finanziario, socio-sanitario e giudiziario.
Tale forma di dipendenza riguarda persone che hanno “sicuramente caratteristiche peculiari di vulnerabilità per questo tipo di comportamento”, come illustra il terapeuta dott. Paolo Jarre nel film-documentario “Fragile” (una recente produzione della Juventus creator lab che racconta il periodo intercorso tra la squalifica del centrocampista Nicolò Fagioli ed il suo rientro in campo).
Proprio guardando “Fragile”, emerge, inequivocabilmente quale sia lo scoglio maggiore che il glamber si trova a dover affrontare, anche quando le somme giocate sono ingenti e la frequenza è molto assidua: “nel momento più brutto passavo anche 12/13 ore al telefono che passavano come fossero 2/3” (come spiega il giovane calciatore).
Siamo al cospetto di una patologia difficile da individuare e riconoscere, non solo per il giocatore d’azzardo patologico, ma anche da parte di amici, famigliari e colleghi. La precipua difficoltà sta, per l’appunto, nella presa di coscienza, nella consapevolezza di avere un problema, di avere una malattia e di avere bisogno di persone specializzate per essere curati.
Quanto narrato nel sopraindicato cortometraggio è, purtroppo, ciò che sovente accade al giocatore affetto da disturbo da gioco d’azzardo: non solo non vuole ammettere a se stesso il problema ma fa di tutto per nasconderlo agli altri, anche isolandosi. Come afferma il dott. Jarre, è difficile capire che il gioco d’azzardo diventa un disturbo quando “influisce in termini psicologici su tutto il resto della vita per cui toglie tempo ed attenzione agli affetti familiari, al lavoro. Ti ruba la vita normale” e che “dal gioco d’azzardo non si guarisce, però, nel momento in cui si è consapevoli della propria fragilità, si tiene a bada”. Purtroppo, c’è ancora scarsa consapevolezza dell’impatto sociale e sanitario del fenomeno.
Appare allora chiaro che la prevenzione ed il contrasto al disturbo da gioco d’azzardo debba essere affidata all’informazione costante e mirata, attraverso specifiche campagne di comunicazione e sensibilizzazione come, per esempio, quella realizzata dalla Regione Piemonte (https://www.noneunbelgioco.it). Chi è affetto da D.G.A. necessità di essere affiancato da un professionista (i servizi per le dipendenze sono gratuiti) che lo conduca a intraprendere un adeguato iter terapeutico.
Solo attraverso un percorso riabilitativo specializzato il glamber patologico potrà, da un lato, acquisire la piena consapevolezza che “Perdere tutto non è un bel gioco” (utilizzando lo slogan della menzionata campagna di comunicazione), e, dall’altro, dotarsi degli strumenti necessari per “riempire l’abisso – che c’è – di senso, di cose fare, da leggere, di cose da dire, da imparare”, come sostiene lo stesso terapeuta, perché “la salute e la forza mentale sono importanti quanto l’abilità fisica” (come mette in luce “Fragile”, attraverso la voce di coloro che hanno vissuto queste difficoltà in prima persona).