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Dissesto idrogeologico: un tema da non sottovalutare

Secondo gli ultimi dati del rapporto ISPRA sul “dissesto idrogeologico in Italia”, otto milioni di persone vivono in zone a rischio frane e alluvioni causate anche dal cambiamento climatico. L’innalzamento della temperatura globale e la riduzione delle emissioni di gas serra sono fenomeni che si possono contenere favorendo la cosiddetta conversione green dell’economia e soprattutto incentivando la formazione delle competenze green nell’ambito delle istituzioni formative delle giovani generazioni, quali ad esempio scuole e università. In particolare, una delle leve strategiche individuate per preparare i giovani e dotarli delle competenze utili ad una piena occupabilità, in linea con gli indirizzi delle nuove aree dello sviluppo sostenibile, è il potenziamento della filiera professionalizzante, secondaria e terziaria.

Il tema della fragilità idrogeologica del nostro Paese costituisce un argomento di particolare rilevanza a causa degli impatti non solo sulla popolazione e sulle infrastrutture, ma soprattutto sul tessuto economico e produttivo. 

Se ne parla sempre quando suscita grandi emozioni ed indignazione prodotte dalle sciagure, ma poi si rimuove. È invece un tema da non sottovalutare. Può originare frane, esondazioni, alluvioni, dissesti di carattere torrentizio, sprofondamenti. Tra le cause principali che lo determinano si annoverano, oltre ai fenomeni meteorologici e il cambiamento climatico, anche e soprattutto azioni di origine antropica, dalla cementificazione, alla deforestazione, a tecniche di coltura non ecosostenibili, tanto per citarne qualcuna. Da ultima, ma non per essere meno importante, ma anzi, una tra le cause principali, la mancanza di manutenzione, che espone il paese a moltissimi fenomeni franosi e alluvioni.

Si rende quindi necessaria fare una prima importante considerazione: non può esserci sviluppo e soprattutto sviluppo sostenibile su un territorio fragile. Transizione ecologica, digitale e sociale devono andare di pari passo con la messa in sicurezza del nostro Paese. Sarebbe irragionevole spendere le risorse del PNRR per far riprendere il paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi -con circa i 2/3 delle frane censite in Europa- se prima non lo si cura.

I rimedi per contrastare il dissesto esistono e sono strettamente legati alla volontà di salvaguardare il territorio. Come sindacato abbiamo sempre e più volte posto l’attenzione sulla necessità di dare continuità operativa ai piani di tutela contro il dissesto idrogeologico. I finanziamenti, e su questo punto possiamo tutti facilmente concordare, ci sono e sono consistenti.

Il Governo Renzi con Italia Sicura stanziò 9,5 miliardi di euro, ma ne furono spesi solo tre in 1475 progetti. Nel 2017 Gentiloni trovò 10 miliardi per lo Sblocca Italia; più o meno la stessa cifra prevista dal Governo Conte che, dopo aver smantellato la Struttura di Missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e averne ricondotto le competenze all’interno del Ministero dell’Ambiente, ha cambiato il nome del piano in Proteggi Italia: 10,9 miliardi di euro stanziati per il triennio 2019-2021. E questo, solo per quanto riguarda i finanziamenti nazionali.

La Missione 2 del PNRR “Rivoluzione verde e transizione ecologica” ha previsto un ambito di intervento in materia ambientale relativo alla messa in sicurezza e valorizzazione delle aree a rischio idrogeologico destinando risorse pari a 15,06 miliardi di euro, oltre alla previsione di una specifica riforma legislativa.

Ad oggi, prendendo in considerazione solo le risorse nazionali, è stata stimata una media di spesa annua per il nostro territorio di circa e soli 350 milioni, e utilizzati per lo più, per far fronte a “stati di emergenza” che sono diventati una emergenza ordinaria e purtroppo quotidiana, come quanto successo questo inverno in molte delle nostre regioni.

Sarebbe utile avere un sistema unitario di banca dati di gestione dei fondi, ma anche superare le difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali nello svolgere funzioni ordinarie che hanno portato, nel tempo, al ripetuto ricorso di gestioni commissariali.

Speriamo che con le riforme messe in campo e le ingenti risorse si possano superare le criticità incontrate fino ad oggi, ridurre i tempi infiniti tra la progettazione e la finalizzazione delle opere e superare situazioni di stallo in alcune delle regioni maggiormente interessate dalla problematica, per non dover – ad ogni meteo avverso- dover piangere morti e danni.

Angelo Colombini: