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Il discorso di Gesù sul pane della vita

Francesco

Foto di Deborah Hudson da Pixabay

Siamo alla terza domenica della lettura del capitolo sesto del vangelo di Giovanni, sul discorso di Gesù sul pane della vita, dopo la moltiplicazione dei pani. Dopo aver parlato del pane misterioso dato dal Padre, Gesù adesso rivela che tale pane è lui stesso. Forse proviamo una certa difficoltà a seguire la riflessione che San Giovanni mette in bocca a Gesù. Non si tratta di un racconto lineare, come fanno gli altri evangelisti. Si ha l’impressione che l’evangelista ripeta le stesse cose. In realtà Giovanni avanza a spirale, riprendendo concetti e idee per approfondire il discorso. In questo “progresso a spirale” possiamo notare tre cambiamenti nel brano di oggi.

  1. Cambio di interlocutori

Domenica scorsa era stata la folla ad interloquire con Gesù, a proposito del segno del Pane. Malgrado la difficoltà ad andare oltre l’interesse per il pane materiale, la gente aveva manifestato una certa disponibilità al dialogo con Gesù, chiedendo delle spiegazioni e formulando una preghiera, a modo suo: “Signore, dacci sempre questo pane”, alla quale Gesù aveva risposto: “Io sono il pane della vita!”

MORMORATORI. Oggi non si tratta più della folla, ma dei Giudei. Chi sono questi “giudei”, dato che siamo a Cafarnao, in Galilea, e costoro conoscono le origini di Gesù? Giovanni, nel suo vangelo, quando parla di “giudei” non intende gli abitanti della Giudea, ma gli avversari di Gesù, particolarmente i capi religiosi, coloro che rifiutano il suo messaggio e lo condanneranno a morte. Questi “giudei” non dialogano con Gesù, ma mormorano tra di loro contro di lui. L’evangelista introduce qui il tema della mormorazione del popolo di Israele nel deserto, contro Dio e contro Mosè.

Giovanni ci fa riflettere sui “giudei” che ci sono nel seno della comunità ecclesiale (e in noi stessi) che, dalla chiusura alla Parola, passano alla mormorazione, che è una velata giustificazione della propria “cardiosclerosi”. Se la mormorazione del chiacchiericcio è dannosa, la mormorazione “spirituale” è ben più pericolosa, perché ci si chiude nel nostro pensiero e mentalità, impermeabili a qualsiasi novità. Purtroppo questi “mormoratori” abbondano e sono molto attivi nella Chiesa di oggi . Prima di giudicare gli altri, tuttavia, cerchiamo di stanare il “mormoratore” che c’è in ciascuno/a di noi!

  1. L’origine di Gesù

Un nuovo tema di discussione viene introdotto dai giudei, quello sulle origini di Gesù: “I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo»?”. Per loro “il pane disceso dal cielo” è la Torah, trasmessa da Dio tramite Mosè. Non possono concepire che la Parola possa “farsi carne” in un uomo, in “Gesù, figlio di Giuseppe”. Com’è possibile? si dicono tra di loro. Ci troviamo davanti al mistero dell’incarnazione, che è il “vangelo” del cristiano, ma da sempre pietra d’inciampo per l’uomo “religioso” e scandalo per le “religioni del Libro”, ebrei e musulmani.

COM’È POSSIBILE? A questa domanda dei giudei di ieri e di oggi, Gesù risponde in un modo che ci spiazza: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”! Ma allora la fede in Gesù è pura grazia, data ad alcuni e negata ad altri? Non può essere così, perché “Dio non fa preferenza di persone” (Atti 10,34). La grazia è offerta a tutti, ma va richiesta ed accolta umilmente. È dono e non conquista nostra.

Questa domanda “Com’è possibile?” è una esclamazione frequente per manifestare sorpresa e stupore, ma pure dubbio e incredulità. Anche nell’ambito della fede ci poniamo tale domanda riguardo ad eventi che sembrano mettere in causa la presenza di Dio nella nostra vita e nel nostro mondo. Gesù ci dice: “Non mormorate tra voi”, ma non ci impedisce di porci delle domande e di chiedere delle spiegazioni. Una fede che non si questiona può facilmente diventare un fondamentalismo che porta ad una mentalità di arroccamento e di psicosi di persecuzione. Un sano questionare (non parliamo del dubbio sistematico della diffidenza) ci mette in dialogo con tutti, come compagni di strada di ogni uomo e donna. Però, come coniugare questo con la fede? La vergine Maria, con la richiesta rivolta all’angelo: “com’è possibile?”, ci dice che tale domanda è legittima, se è fatta per rendere più consapevole il nostro “sì”, il nostro “fiat”. Si può anche “dubitare nella piena certezza”! (Cristina Simonelli).

  1. Mangiare il pane, mangiare la sua carne

Fino adesso Gesù si è limitato a parlare di sé come il pane disceso dal cielo. Adesso introduce il verbo mangiare: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (v. 51). Questo versetto, che sarà ripreso domenica prossima, ci introdurrà, finalmente, nel discorso sull’eucaristia. Il mangiare il pane che è la sua persona, la sua parola e la sua carne diventa la condizione per avere in noi la vita eterna.

ALZATI, MANGIA E CAMMINA!

La prima lettura e il vangelo si aggirano attorno al “mangiare” e ci invitano a domandarci di cosa nutriamo la nostra vita. Si parla di tre tipi di pane: il pane della manna che nutre per un giorno, il pane di Elia che nutre per quaranta giorni e il pane che è Gesù che nutre per sempre. La prima lettura (1Re 19,4-8) che ci racconta la crisi del profeta Elia, perseguitato a morte dalla regina Gezebel, è di una bellezza straordinaria. Da una parte, ci mostra la debolezza del grande profeta che aveva sfidato da solo i 400 profeti di Baal, una debolezza che lo rende simile e vicino a noi. Dall’altra, ci mostra la tenerezza di Dio che non rimprovera il suo profeta, ma gli invia il suo angelo, per due volte, per rifocillarlo e rimetterlo in cammino verso il monte Sinai, dove l’aspetta il Signore. Ecco, questo è il nostro Dio, che si avvicina a ciascuno/a di noi nei momenti della prova, di crisi e di scoraggiamento per rianimarci: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino!”

padre Manuel João Pereira Correia: