Il decreto-legge era stato originariamente pensato per fronteggiare eventi eccezionali ed imprevisti, ma negli ultimi anni, in special modo nel periodo caratterizzato dalla crisi pandemica, è stato utilizzato in maniera crescente come rimedio all’incapacità degli organi della rappresentanza politica di affrontare con immediatezza le complesse esigenze della società. Si tratta – com’è noto – di un atto con forza e valore di legge che il Governo può adottare, senza preventiva delega delle Camere, per far fronte repentinamente ad avvenimenti eccezionali. Tale atto normativo emanato dal Governo senza un preventivo provvedimento parlamentare rappresenta una rottura provvisoria dell’equilibrio costituzionale tra legislativo ed esecutivo. Motivo per cui la stessa Costituzione ritiene ammissibile detta rottura unicamente se provvisoria e se sanata nel massimo di 60 giorni, termine entro il quale il decreto-legge dovrà essere convertito in legge dal Parlamento, pena la sua perdita di efficacia con valore retroattivo.
Il Costituente aveva immaginato il decreto-legge come un atto straordinario da utilizzarsi solo nel caso in cui fosse necessario contrastare emergenze inattese. La prassi degli ultimi decenni, tuttavia, ha visto un ricorso crescente al suo utilizzo per superare le lungaggini dell’iter legislativo. Sebbene i presupposti che giustificano l’adozione della decretazione governativa, cioè i casi “straordinari” di “necessità” e di “urgenza” devono sussistere tutti congiuntamente, non essendo sufficiente la presenza di solo alcuni di questi. La Corte costituzionale ha fugato ogni dubbio in merito alla propria competenza a verificare il difetto dei presupposti del decreto-legge, in sede di scrutinio di legittimità costituzionale. Sicché, in caso di “evidente mancanza” dei requisiti potrà operarsi un controllo di legittimità riservato all’organo di giustizia costituzionale (sent. n. 288 del 2019). Ulteriormente, le coordinate del decreto-legge, fissate dall’art. 15 della legge n. 400 del 1988, ne impongono un contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.
A tal proposito, la Consulta ha chiarito che le norme contenute in un decreto-legge devono essere intrinsecamente coerenti sia con l’oggetto che con le finalità del provvedimento governativo. Da ciò derivando che “la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto – legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità”. In altre parole, l’inserimento di norme eterogenee recide il legame logico – giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge (sent. n.22 del 2012). In coerenza con tale assunto, la stessa Corte ha escluso la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto – legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario; ciò perché l’art. 77, co. 2° Cost. “istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto legge formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica e legge di conversione”.
Dal canto suo, la legge di conversione rappresenta una legge funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi a oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nell’atto con forza di legge. Essa ammette soltanto disposizioni coerenti con quelle originarie, essenzialmente per evitare che il relativo iter procedimentale semplificato, previsto dai regolamenti parlamentari, possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano il decreto – legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche parlamentari (sent. n. 226 del 2019). In definitiva, decreto-legge e legge di conversione costituiscono un unicum, nel quale l’oggetto del decreto tende a coincidere con quello della legge di conversione. Una fattispecie normativa a formazione progressiva nella quale l’iniziale adozione del provvedimento normativo non può non influenzare la decisione parlamentare in sede di conversione, dato il particolare rapporto di fiducia che lega i due organi nella forma di governo parlamentare. In conseguenza di ciò, il difetto dei presupposti del decreto-legge si traduce in un vizio della legge di conversione, che può essere oggetto di una pronuncia di incostituzionalità, anche nel caso in cui il vizio sia stato rilevato nell’originario decreto-legge.