Benché l’obbligo di varare ogni anno una legge sulla concorrenza sia previsto dal 2009, il Parlamento italiano vi aveva adempiuto una sola volta nel 2017. Non è da sottovalutare, dunque, che – sia pure in zona Cesarini – le Camere elette nella XVIII legislatura (ora sciolte anticipatamente) siano state in grado di approvare il Ddl concorrenza per il 2021, che era stato già approvato dal Senato a fine maggio, ed è approdato lunedì 25 in Assemblea alla Camera con voto il giorno dopo per poi tornare a Palazzo Madama per la terza e definitiva lettura, una formalità a quel punto. La soluzione, maturata sul filo delle regole parlamentari, consente al governo uscente di rispettare l’obiettivo di approvare il Ddl entro la pausa estiva. Poi, però, andranno emanati i relativi decreti delegati entro la fine del 2022. Perché l’approvazione della legge avrebbe senso solo se per dicembre, salvo proroghe straordinarie da concordare con Bruxelles, si darà corso anche a tutta la parte attuativa. E non si tratta di un dettaglio.
La legge infatti prevede diverse deleghe al governo, a cominciare da quelle per la mappatura di tutte le concessioni pubbliche e per la definizione dei criteri con cui mettere a gara le concessioni balneari. È prevista una delega anche per il riassetto dei servizi pubblici locali, annacquato nel passaggio parlamentare così come la norma ordinaria sulle gare nei trasporti regionali. Due ampie deleghe riguardano la semplificazione delle autorizzazioni per le attività di impresa e il coordinamento dei controlli sulle aziende. Nei 36 articoli del provvedimento figurano poi misure su porti, gas, sanità e farmaci, tlc e poste, concessioni idroelettriche, rifiuti, società partecipate, colonnine di ricarica elettrica, poteri dell’autorità Antitrust.
Le disposizioni della legge annuale 2021 sono, in particolare, finalizzate, a: a) promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, tenendo in adeguata considerazione gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini; b) rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati; c) garantire la tutela dei consumatori.
Il PNRR considera la tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale. “La concorrenza”, prosegue il documento, “è idonea ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi: quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”. Il PNRR pone come traguardo l’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza 2021 per la fine del 2022.
La relazione illustrativa rammenta che “la tutela e la promozione della concorrenza trovano il loro presidio nei Trattati europei e nella Commissione europea come autorità antitrust e, a livello nazionale, nella legge generale per la tutela della concorrenza e del mercato del 1990 e nell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”) chiamata ad attuarla”. Proprio la appena citata Autorità il 22 marzo 2021 aveva inviato al Governo la Segnalazione “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021”, che – come riporta la relazione illustrativa – ha costituito un “essenziale punto di riferimento per il relativo disegno di legge: buona parte delle proposte dell’AGCM sono state recepite, con modifiche; altre troveranno spazio in differenti norme, come quelle attuative di importanti direttive europee in materia di disciplina delle comunicazioni elettroniche, di energie verdi o di procedure antitrust riguardanti intese restrittive e abusi di posizione dominante”. Diversi erano i temi di interesse particolarmente rilevante per il nostro Paese, ritenuti importanti anche per l’Europa, motivo per cui la Commissione ha puntato gli occhi sull’Italia e sulla sua capacità di andare avanti nonostante la caduta del Governo.
Tra i più importanti troviamo l’articolo 3 in tema delle discusse concessioni balneari, così come ipotizzato, prevede una proroga fino al 23 dicembre 2023 (e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024 in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della gara prima) dell’efficacia delle concessioni demaniali e dei rapporti di gestione per finalità turistico ricreative e sportive. Nella bozza sono previsti anche indennizzi per gli eventuali concessionari uscenti che non dovessero vincere nuovamente l’appalto. Con l’art. 5 è previsto, invece, un decreto del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili che definisca nel dettaglio le concessioni. Tra le specifiche, ad esempio, viene imposto un limite di una sola concessione da rilasciare per ciascun porto a un concessionario, regola che non vale per gli hub di rilevanza internazionale e nazionale. Ciascuna Regione dovrà fissare i criteri delle gare che dovranno essere stabiliti entro la fine del prossimo anno. All’art. 15 si parla invece di tariffe per le utenze non domestiche: il testo contiene i nuovi compiti dell’Arera e le modifiche al Codice dell’ambiente che prevede la stipulazione di un accordo di programma su base nazionale tra Conai, sistemi autonomi e tutti gli operatori del comparto di riferimento con Anci, Upi e Enti di gestione di ambito territoriale ottimale. Nello specifico, nel testo, è anche prevista una delega della durata di un anno al Governo sulle energie rinnovabili, per la razionalizzazione del quadro normativo, con lo scopo di semplificare le procedure di autorizzazione.
In sostanza si tratta di un provvedimento importante che ha affrontato questioni reali, anche se il dibattito politico si è concentrato sui problemi che riguardavano due categorie molto protette dalla politica: le concessioni balneari e le licenze per il trasporto urbano (i tassisti). Nel primo caso il governo è riuscito a fare qualche passo in avanti (è sempre presente il problema del decreto attuativo) grazie ad un provvedimento del Consiglio di Stato che ha bocciato ogni possibilità di proroga (la via d’uscita sperimentata da anni). Nel caso dei tassisti il ricorso a veri e propri blocchi delle città con manifestazioni violente ha portato allo stralcio dell’articolo 10 come pretendevano alcune associazioni di categoria (altre erano disponibili a trattare). Il che è avvenuto in particolare a seguito della repentina crisi di governo che ha indotto l’esecutivo a chiudere la partita nelle condizioni possibili in quella situazione politica. Un governo dimissionario non sarebbe stato in grado di forzare la mano con un voto di fiducia.
I tassisti hanno delle ragioni che vanno tutelate, ma non possono pretendere che siano operanti altre forme di servizio pubblico di trasporto che operano su piattaforme elettroniche. La norma di delega era generica, aperta a modificare delle regole del settore disposte negli anni ’90 quando la tecnologia si limitava al telefono fisso. La via d’uscita è quella di definire degli ambiti di intervento specifico per i taxi, il NCC e le piattaforme digitali come Uber. In Italia l’iniziativa privata è libera. Non possiamo essere ancora a lungo un Paese che vieta talune iniziative imprenditoriali perfettamente legittime, che operano, in varie forme, in tutti i Paesi civili.