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Ddl Concorrenza: tutti i nodi che ancora devono venire al pettine

Nessuno si sarebbe aspettato che Mario Draghi si facesse cogliere non adeguatamente preparato dalla Commissione di Bruxelles proprio sul ddl concorrenza, che è una delle prove fondamentali per superare l’esame di miglior premier dell’anno. Invece Draghi è caduto nel rispondere alla domanda che avrebbe dovuto aspettarsi perché è la stessa che la Commissione ha fatto ai governi prima del suo: come la mettiamo che le concessioni degli stabilimenti balneari?

Fino ad ora gli esecutivi hanno finto di non avere ben capito la domanda. Questa volta il governo non se la è sentita di prendersi la responsabilità di limitarsi a dire ‘’no perché no’’ come avevano fatto i governi precedenti tallonati da una lobby trasversale di parlamentari. Come è noto, l’Italia vanta migliaia di Km di spiagge, in larga prevalenza affidate in concessione; ne deriva che tutti i parlamentari del posto, a qualsiasi partito appartengano, non si tirano indietro quando si tratta di difendere il ‘’patrio suolo’’ dall’invadenza dello straniero. Questa volta il governo aveva un pretesto valido per rimandare la decisione, magari a dopo l’approvazione della legge di bilancio.

La vicenda era all’esame del Consiglio di Stato: così era corretto aspettare le decisioni del massimo organo della giustizia amministrativa. A Bruxelles, il richiamo a non tergiversare più era stato perentorio; ma chi mai avrebbe potuto contraddire Draghi se, correttamente, avesse sospeso la decisione in attesa del responso del Consiglio di Stato. Invece i giudici di Palazzo Spada non si sono messi a pettinare le bambole, ma hanno deliberato in fretta imponendo al governo di porre un termine alle concessioni in vigore, di aprire le gare e di non azzardarsi più a concedere delle proroghe. Intanto il ddl era stato varato senza nessuna misura in proposito, tra gli applausi delle associazioni degli imprenditori balneari, i quali ovviamente giuravano di non voler difendere i loro interessi ma quello dell’industria del turismo ancora sofferente per le limitazioni subite.

Anche in questo caso si è aperta una discrepanza tra la Lega di lotta e quella di governo, tanto più imbarazzante dal momento che il ministro del Turismo e quello dello Sviluppo economico (ambedue interessati al problema) appartengono allo stesso partito il cui leader non ha esitato a schierarsi in difesa dei bagnini. Un’altra grana per il governo è quella della liberalizzazione del servizio dei taxi rispetto all’uso delle piattaforme digitali. La categoria sarà già in sciopero nazionale il giorno 24 novembre. Per ora sembrano un po’ defilati i venditori ambulanti. Certo che quanti ricordano gli obiettivi che a suo tempo erano affidati alla Direttiva Bolkestein, non possono che dire ora: ‘’questo di tanta speme oggi mi resta’’. La sorte ha voluto che il commissario olandese Frits Bolkestein tenesse a battesimo – per normali motivi di ufficio – una proposta di direttiva (varata dalla Commissione nel gennaio 2004) che si proponeva di allargare il mercato interno al settore dei servizi. Si trattava di dare corso non solo ad un impegno previsto dai Trattati (addirittura da quello istitutivo del lontano 1957), ma persino ad un’incombenza assolutamente coerente con le scelte già compiute dall’Unione sul piano delle grandi strategie d’ordine economico.

Il mercato dei servizi rappresentava il 70% delle attività economiche europee, deteneva il 68% dell’occupazione complessiva ed era ritenuto in grado di offrire le maggiori opportunità per l’ulteriore crescita dei posti di lavoro nell’ambito di quell’economia della conoscenza posta alla base del programma di Lisbona 2000. Ma non basta. Era proprio l’esigenza di una maggiore competitività del settore manifatturiero a dipendere sempre più dalla fornitura di servizi moderni e flessibili, dal momento che (come scrisse allora Riccardo Faini) l’efficacia dei servizi alle imprese rappresenta un fattore cruciale nella localizzazione delle multinazionali, mentre le rigidità tendono a scoraggiare gli investimenti diretti esteri.

Nonostante tali considerazioni, in appena due anni, la prospettiva del mercato interno dei servizi venne talmente logorata da divenire una delle tante “speranze deluse” subite dalla causa dell’Europa unita, nel corso del suo divenire. Eppure, quella scelta non era stata né incauta né improvvisata. Ma in certi ambienti, evocare la ‘’Bolkestein’’ è come evocare la riforma Fornero. Certo che fa impressione constatare a tanti anni di distanza che un progetto tanto ambizioso è finito … sulla battigia delle nostre spiagge e sui parcheggi dei taxi in lotta con le auto NCC e con il ritorno di Uber.

Sul terreno del trasporto locale, oggi in mano pubblica, si gioca un’altra importante partita sulla concorrenza. Anche in questo settore occorre assegnare il servizio tramite gare pubbliche. Ma quale è il marchingegno che il kombinat municipalizzate/sindacati hanno trovato perché nulla cambi? Lo spiega bene l’ex ministro Maurizio Sacconi in un articolo sul Bollettino Adapt dell’8 novembre. ‘’Da un lato si ipotizza – scrive Sacconi – l’apertura dei taxi alle piattaforme tecnologiche ma, dall’altro, manca il coraggio di sottoporre a vere gare competitive i servizi di trasporto pubblico locale su gomma in quanto non viene affrontata la vera causa del persistere delle vecchie e quasi sempre fallimentari gestioni. Si tratta di quella clausola sociale che impone a qualunque concorrente di una ipotetica gara di rispettare tutte le condizioni contrattuali determinate da contratti collettivi, così onerose da essere sopportabili solo da soggetti sostenuti dai bilanci pubblici’’.

‘’Eppure – prosegue l’ex ministro – proprio il costo del lavoro è il fattore determinante per l’ingresso di newcomers capaci di proporre una maggiore efficienza nella organizzazione di questi servizi. Sarebbe quindi necessaria ‘’una specifica norma che superi l’orientamento della giurisprudenza amministrativa per la quale è lecita “la previsione nei bandi di gara del trasferimento senza soluzione di continuità di tutto il personale dipendente dal gestore uscente al subentrante, con l’esclusione dei dirigenti, applicando in ogni caso al personale il contratto collettivo nazionale di settore e il contratto di secondo livello o territoriale applicato dal gestore uscente”.

Giuliano Cazzola: