Le cure palliative e la terapia del dolore sono presidi necessari in un corpo sociale nel quale cresce il numero di anziani, e dove le cause principale della disabilità e della morte sono le malattie cronico degenerative, in primis le neoplasie. L’esigenza di garantire, con la cura, la dignità del fine vita e l’accesso ai farmaci che leniscono il dolore, è alla base dell’approvazione, avvenuta poco più di un decennio fa, della legge 15 marzo 2010 n. 38 Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
In occasione del suo undicesimo anniversario, oltre a sottolineare che essa ha segnato una conquista di civiltà, è opportuno capire a che punto siamo rispetto alla sua applicazione. La Legge 38 è una pietra miliare nelle norme in campo medico, poiché si pone l’obiettivo di una presa in carico globale della persona con malattia inguaribile e della sua famiglia: conclude un percorso iniziato già nel 1999 con la realizzazione dei primi Hospice in Italia (con la c.d. legge Bindi); ma la legge 38 disciplina qualcosa di più, una Rete assistenziale dove luoghi di ricovero chiamati Hospice, cure domiciliari palliative, attività ambulatoriale e di consulenza nei presidi ospedalieri diventano fondamentali per rispondere ai bisogni sintomatici, relazionali, psicologici ed esistenziali dei malati inguaribili.
Questa legge ha dato dignità alla disciplina medica delle cure palliative, alla medicina che cura sempre, anche “non c’è più niente da fare”, pur se la sua piena attuazione è ancora incompleta essendo sempre mancato il suo adeguato finanziamento. Le cure palliative moderne in questo decennio hanno avuto una evoluzione sostanziale, allargando il campo dei pazienti, da quello storico dell’oncologia a discipline come la neurologia, la geriatria, la pneumologia, la cardiologia, la nefrologia, proprio per far fronte ai bisogni complessi dei pazienti, e assicurare le competenze specialistiche adeguate.
L’emergenza sanitaria seguito della pandemia, pur se indirettamente, ha coinvolto in modo pesante l’ambito delle cure palliative, con l’aumento dei carichi assistenziali determinato dalla diminuita ricettività degli ospedali. L’assenza di un medico palliativista nelle terapie intensive ospedaliere ha comportato che persone fragili colpite dal virus siano morte in totale assenza di assistenza palliativa: senza, cioè, quel Pallium amorevole e coinvolgente così fondamentale nel momento finale della vita.
Il propagarsi dell’epidemia ha comportato un forte rallentamento, e in alcune realtà il blocco nella erogazione delle prestazioni di terapia del dolore, abbandonando non pochi ammalati nella solitudine della loro sofferenza. La situazione in atto induce a riflettere sul fatto che l’esperienza delle Reti di cure palliative può essere una risorsa preziosa, a condizione che venga sostenuta con mezzi idonei. C’è quindi ancora tanto da fare affinché i propositi inserititi nella legge undici anni fa diventino realtà: il Recovery plan potrebbe essere l’occasione per munire di risorse lo sviluppo omogeneo sul territorio nazionale delle Reti di cura Palliativa e di terapia del dolore.