I venti di guerra che, in maniera sempre più forte, stanno aleggiando sull’intera umanità in questo periodo, provocando una sofferenza immane tra molti civili inermi, richiedono una risposta improntata alla pace immediata attraverso quello che, con grande lungimiranza, Papa Francesco, ha definito “il coraggio del dialogo”. In particolare, la comunità cristiana e i leader religiosi di ogni religione sono chiamati a unire i popoli attraverso la fede e la cultura dell’incontro da cui, senza se e senza ma, deve sfociare uno spirito di pacificazione globale in cui, ogni energia, deve essere protesa al bene e alla fraternità universale.
Se non avremo il coraggio di fare questo, le generazioni future, pagheranno le conseguenze peggiori dell’insensatezza della guerra la quale, purtroppo, in questi giorni, sembra aver pervaso la coscienza di alcuni leader mondiali. Siamo quindi chiamati, in qualità di cristiani, a diffondere un esempio di pace in cui, ogni divergenza tra gli Stati, deve e dovrà essere risolta attraverso una diplomazia efficace, improntata all’esempio che i Santi, nel corso dei secoli, ci hanno donato. Il mio pensiero corre a San Massimiliano Kolbe, Madre Teresa di Calcutta e San Giovanni Paolo II che, in epoche diverse, attraverso una grande fede, hanno saputo superare la barbarie e donare al mondo un esempio luminoso del significato dell’essere prossimi a chi soffre, attraverso il dialogo ed uno spirito benevolo, in grado di superare l’insensatezza delle guerre e le sofferenze date dalla povertà.
Abbiamo il dovere di donare a coloro che verranno dopo di noi un mondo in cui la convivenza pacifica tra i popoli dovrà essere messa al primo posto. Non possiamo annullare decenni di progressi, umani e tecnologici, per delle guerre fratricide, il cui unico esito sarà quello di distruggere la nostra “Casa comune”. Da cristiani siamo chiamati ad essere sempre “Santi della porta accanto”, partendo dalla quotidianità di ognuno di noi fino a giungere alle relazioni tra gli Stati. Ogni persona, indipendentemente dalle cariche che riveste, deve impegnarsi per servire il bene comune e gli ultimi. I conflitti armati sono l’antitesi dello sviluppo umano e dobbiamo propendere ogni sforzo per allontanarli con la forza del dialogo. Ebbene sforziamoci, ognuno nel proprio ambito, ad abbandonare l’orgoglio e le gelosie, coltivando i “fiori della mitezza”.