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Le crisi del Libano a un anno dall’esplosione nel porto di Beirut

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Un anno fa, il 4 agosto 2020, un’esplosione nel porto di Beirut causò oltre duecento morti. Poco dopo, si aprì una crisi istituzionale che andò a sommarsi a quella economica che già colpiva il Paese, e alla crisi scatenata dalla pandemia di Covid.

Il disastro del porto di Beirut, la porta d’ingresso di tutto ciò che arriva in Libano, è stato un colpo ferale che ha messo a nudo quello che già tutti sapevano.

Il Paese dei Cedri soffre da tempo una spaventosa crisi economica. Il Libano era ritenuto una sorta di “Paese di Bengodi” a metà tra l’Occidente e il mondo arabo, dopo la fine della guerra civile- quando si è posto il problema di rimettere insieme il Paese – il momento della ricostruzione è diventato un periodo contrassegnato dalla corruzione e da un’élite che ha pensato a fare affari e usare soldi pubblici per distribuire prebende.

Anni di spesa “facile” e di inflazione galoppante hanno portato a una situazione molto complessa, fino al default della banca centrale.

Adesso il Paese è ridotto alla fame e c’è scarsità di beni, condizioni che hanno portato a diverse proteste negli ultimi anni. Non ultimo, circa il 25% della popolazione libanese è composto da rifugiati, a cominciare dai siriani, la parte più povera del Paese che però ha un suo peso sociale ed economico non indifferente.

Poi c’è la più recente crisi istituzionale, col Paese senza un governo dalle dimissioni dell’allora premier Hassan Diab in seguito alle tensioni successive l’esplosione nel porto delle capitale.

Dopo due tentativi infruttuosi di formare un nuovo esecutivo, è stato dato l’incarico all’uomo d’affari e miliardario Najib Mikati, già due volte primo ministro e prima ancora ministro. Questo personaggio non gode di una grande popolarità perché è considerato uno degli artefici del disastro libanese e più volte è stato coinvolto in dei processi.

Negli anni è venuto meno il sostegno, anche finanziario, di quei Paesi più “vicini” al Libano, gli Stati Uniti e le monarchie del Golfo. Questo perché all’interno del Paese dei Cedri è nata e si è andata sempre di più rafforzando la presenza dell’organizzazione Hezbollah, sostenuta dall’Iran.

Questo nuovo premier incaricato di formare il governo ha avuto dal Parlamento libanese delle indicazioni di favore, a cominciare proprio da Hezbollah. Probabilmente l’elemento più nuovo sullo scenario istituzionale libanese è che Mikati ha detto che avrebbe assunto l’incarico con l’appoggio di tutti, poiché il Paese è allo stremo.

E’ una piccola fiammella di speranza in un Paese non si fida ma non ha delle alternative.

Il 4 agosto si tiene l’iniziativa internazionale per raccogliere fondi per il Libano, voluta dal presidente francese Emmanuel Macron. Ma senza un road map precisa di riforme potrebbe essere difficile trovare qualche Paese disposto ad aiutare.

Armando Sanguini: