Un’estate con calura persistente e senza acquazzoni come quella che stiamo vivendo, non si vedeva da decenni. Sembra smentita l’opinione prevalente degli ultimi 50 anni: stagioni instabili, con escursioni termiche violente e rovesci che si alternano al sereno. Quest’anno, se l’autunno dovesse svolgersi regolarmente, l’andamento metereologico avrà rispettato fedelmente la scansione più classica che nella mia infanzia ho conosciuto: inverno nevoso e piovoso; primavera mite e comunque instabile; estate calda con scarsi temporali.
E allora perché gli allarmi sulla siccità che preoccupano l’opinione pubblica, sempre più sollecitata da informazioni negative? L’accumulazione naturale così tanto copiosa dell’acqua, avvenuto nello scorso inverno, dovrebbe bastare e avanzare per gli usi civili e produttivi. Ma così non è.
Allora perché prendersela con la siccità e non con il comportamento da cicala degli amministratori pubblici? Lo spreco dell’elemento più prezioso per la vita umana, lo notiamo in ogni circostanza della vita reale delle persone e nella gestione “industriale“, della distribuzione, captazione e lavorazione.
La dispersione spesso provoca perdite d’acqua fino ed oltre il 50%, a causa di reti idriche colabrodo. Questa circostanza sembra non interessare nessuno; qualsiasi quantità del prezioso liquido si immetta nelle condutture, la quantità fruibile risulta sempre la stessa, a causa di perdite gravi, mai corrette con nuove condutture.
Altro nodo è la condizione pietosa della depurazione delle acque, tanto necessaria per la custodia di mari e fiumi. Siamo davvero lontani da ciò che occorre: lo spreco idrico si potrebbe ovviare con la fruizione ottimale in agricoltura e nell’industria delle acque. Lo stesso vale per le necessarie nuove captazioni delle sorgenti e per la salvaguardia delle falde acquifere: non sono sorvegliate e gestite, con danni incalcolabili per la salute dei cittadini.
Ma il punto più dolente della vicenda “acqua”, riguarda la gestione e la disponibilità di risorse finanziarie per nuovi investimenti. Molti nodi sono venuti al pettine dopo anni di infelici scelte di organizzazione delle amministrazioni pubbliche e di indirizzi culturali e politici distorti, che hanno influenzato negativamente la presa di coscienza dei cittadini. Il referendum del 2011 promosso dalla sinistra radicale sul sostanziale mantenimento in mani pubbliche locali del servizio, ha di fatto contribuito a far degenerare la qualità e quantità del bene, giacché alla giusta petizione di principio che l’acqua è bene pubblico, non ha corrisposto il criterio di gestione efficiente. Risiede proprio in quel modo di intendere la salvaguardia del bene primario delle risorse idriche, il precipitare della situazione odierna.
Il risultato ottenuto è stato: nessun investimento per trovare nuove sorgenti; reti con più buchi di prima, molte falde acquifere incustodite; alti costi delle tariffe, non commisurate a qualità, efficienza e sicurezza; mantenimento di carrozzoni pubblici e parapubblici. Per ragioni ideologiche si è voluto confondere il servizio pubblico con la gestione pubblica. Ma la razionalità e le buone pratiche ci portano a ritenere che l’interesse pubblico si possa garantire con concessioni rigorose affidate ad imprese industriali specializzate, orientate a commisurare il costo delle tariffe alla qualità del servizio, investimenti per i nuovi approvvigionamenti e per l’efficienza delle reti acquifere, l’integrazione della depurazione con la distribuzione alle attività produttive agricole ed industriali delle acque reflue.
Se le cose sono queste, perché tirare in ballo Giove pluvio? Più corretto sarebbe prendersela con la sciatteria e con gli ideologismi che ancora condizionano negativamente gran parte delle attività economiche e sociali. Non è neanche conveniente, l’abbrivio salvifico della dichiarazione di calamità naturale, o del capro espiatorio del momento, per spostare l’attenzione della pubblica opinione e mantenere così lo status quo.
Le esasperazioni, successive all’ottuso mantenimento degli schemi fallimentari, sono utili solo alla classe dirigente che galleggia sui luoghi comuni. Meglio avvalersi di chi fa bene il mestiere della gestione integrata delle acque, con la garanzia di concessioni ben studiate dalle amministrazioni, vantaggiose per i cittadini.
L’auspicio è che le tante formiche vengano sostituite da un numero altrettanto ampio di formiche. La condizione è che i teoremi del passato vengano cancellati costando inciviltà e pesi economici oramai insostenibili.