Per capire cosa stia succedendo in Italia forse conviene partire dall’Europa. Ma non da Bruxelles: dall’Aja, dove il governo Rutte si è dimesso con ignominia per una brutta storia. Avevano accusato decine di migliaia di persone, migliaia di famiglie, di aver lucrato sussidi di stato immeritati, pretendendone la restituzione. Non era vero nulla; intanto molti di quanti sono stati colpiti dall’ingiunzione fiscale hanno dovuto indebitarsi per rifondere l’erario pubblico, e sono poveri più poveri di prima. Ulteriore particolare: per la maggior parte si tratta di immigrati o di gente con la doppia cittadinanza. Quando la mancanza di umana carità si sposa alla cialtroneria si generano i mostri. Quando poi c’è anche l’odore della discriminazione razziale e culturale siamo ben oltre il più basso grado di civiltà. Un conto è preoccuparsi di regolare i flussi migratori, tutt’altro colpire il debole perché è debole e straniero.
Il caso del governo Rutte, che noi ricordiamo per la ferma stolidità con cui tentava di bloccare i fondi europei all’Italia in ginocchio per la prima ondata di coronavirus, è emblematico. Rappresenta il fallimento della politica centrista (Rutte è un moderato) quando si mette a correre dietro alle sirene del sovranismo della destra. Qualcosa del genere è accaduto, quasi in contemporanea, in Estonia. E qui chiudiamo la premessa per collegarla con quanto sta avvenendo in Italia.
In Italia stupisce come Salvini e Meloni abbiano rinunciato a cavalcare quanto ci si sarebbe atteso il fatto che in Olanda si voterà a marzo. Fino a pochi giorni fa, invece, “elezioni subito” era il loro slogan. Che è successo? Probabilmente hanno capito che a marzo è difficile che si voti, dalle nostre parti. E forse non lo vogliono nemmeno più tanto nemmeno loro. Chi governerà da marzo in poi avrà il compito di gestire la terza ondata di covid, e non sarà una passeggiata. Ma, soprattutto, un governo a trazione leghista-FdI avrebbe il difficile compito di doversi confrontare con una Europa ben diversa da quella di un anno fa, se non altro perché uscita vincitrice dal ring della Brexit.
È vero: nel nostro centrodestra siede anche Berlusconi, che è un popolare europeo, amico della Cdu e dei moderati. Ma è il partner di minoranza, in questa alleanza, e poi non è detto che tenga ancora sotto controllo Forza Italia e le componenti sorelle. Vediamo: all’inizio della crisi di governo Salvini e Meloni convocano le altre componenti del centrodestra (Fi ma anche l’Udc e Cambiamo), che giurano fedeltà al patto costitutivo del Fronte comune. Poi si viene a sapere che non tutti i senatori forzisti sono granitici nelle loro convinzioni, poi ancora che qualche dubbio serpeggia nell’Udc, poi ancora che forse Cambiamo sta pensando bene a come regolarsi.
Poi tutti smentiscono tutto, quindi – dopo che si è sparsa la notizia dell’ennesimo acciacco di Silvio Berlusconi – l’Udc pare che accetterebbe di entrare in maggioranza. La qual cosa, in considerazione dei movimenti all’interno del gruppo misto al Senato e magari dello stesso gruppo di Italia Viva, vorrebbe dire sopravvivenza per il governo Conte. Insomma, l’elemento nuovo di questa nuova fase della crisi sono i dubbi del centrodestra, finora tertium gaudens nella sfida tra Renzi e tutto il resto della coalizione giallorossa.
Renzi, da parte sua, ora invia segnali distensivi. Verrebbe da dire: ha capito che l’ha combinata grossa. Che abbia fatto un bel guaio (bello quanto inutile) è cosa acclarata. Che se ne sia reso conto è tutto da dimostrare. Conoscendo le sue arti tattiche, potrebbe essere un’astuzia per prendere tempo. Lo si capirà vivendo. Quel che è certo è che il suo tentativo di blitzkrieg ha trovato la sua Stalingrado. Ora o vince tutto o inizia la ritirata nella neve. In questi casi di solito i superstiti sono pochi.
Anche il Pd corre i suoi rischi: se Conte va a casa hai voglia a pensare che alle elezioni comunque ci guadagni qualcosa rispetto ad oggi. Il prezzo da pagare per questo tipo di incasso sarebbe una lunga e dolorosa opposizione. Chi se la sentirebbe di accettare il pacchetto a cuor leggero? Una volta il Pci, nato cent’anni fa, aveva fatto propria la dimensione di forza dell’opposizione rendendola parte della natura stessa del partito. Il Pd, da questo punto di vista almeno, del Pci non è per nulla la continuazione. Al governo ci si trova benissimo, e cerca di restarvi. É cosa legittima, ma di solito in questi casi si diventa molto cauti. Vien da dire che quasi quasi ha ragione Clemente Mastella.
Mastella è l’orgoglio della politica politicante, ma anche la politica politicante è cosa legittima nonché dotata di una sua indiscutibile dignità. In più è un moderato: più di Renzi, più di Rutte. Più di Berlusconi. Quando il centrosinistra lo ha preso a spintoni, ai tempi di Prodi, ha saputo vendicarsi ribadendo la sua centralità. Non ci sentiamo certo di condannarlo per questo. Sciocco fu chi lo prese a spintoni, o non lo difese.
Oggi vede una possibile manovra del Pd: usare i responsabili come spauracchio per Renzi per ricondurlo a più miti consigli, fare la pace e buttar via i centristi usciti allo scoperto come fossero fazzolettini usati. L’uomo ne ha viste tante, quindi se dice una cosa del genere non è da prenderla sottogamba. Ma anche qui potrebbe trattarsi di un’astuzia temporeggiatrice del suddetto Mastella, chi lo sa. Ad ogni modo meglio non irritarlo troppo: una solida maggioranza al Senato era una chimera anche prima che Italia Viva mollasse il governo. Figuriamoci ora. Figuriamoci soprattutto la prossima settimana, senza il marito di Sandra Lonardo.
Al voto al Senato manca infatti ancora qualche giorno. Qualcuno azzarda potrebbe saltar fuori la soluzione anche prima di lunedì: registriamo la voce ma ci pare molto ottimistica. Dal Quirinale Sergio Mattarella osserva: interverrà, del caso, da metà settimana in poi. Conte fa e rifà i conti: qualche volta tornano, altre volte no. Rutte, che rischiò di farlo dimettere con i suoi capricci da frugale testardo all’ultimo vertice dell’Ue, si è dovuto dimettere per primo. Anche queste sono soddisfazioni.