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Crescono i poveri, ma le attenzioni sono altre

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Crescono i poveri, ma le attenzioni sono altre. Si susseguono dibattiti su dibattiti ed appelli su appelli sulla povertà incalzante in Italia, ed in verità la sua crescita è una triste realtà che si lega indissolubilmente alla regressione senza sosta della nostra economia che dura da più di un ventennio. Infatti tutti i fattori segnalano malessere economico, come la diminuzione della nostra capacità competitiva nei mercati internazionali, con la conseguente perdita di importanti spazi di commesse, che ha costituito la motivazione di fondo insieme all’indebitamento progressivo pubblico, dell’aumento della povertà. Dovrebbe essere banale sottolineare che quando si restringono le possibilità di vendere le produzioni dentro e fuori i confini nazionali, immediatamente si hanno contraccolpi sulla base occupazionale e sul volume degli introiti pubblici che ricadono pesantemente sul sistema di protezione sociale.

Non esiste nel mondo un solo paese che, peggiorando la sua economia ha potuto fare fronte elle emergenze sociali. Anzi dovunque si sono innescate situazioni critiche senza ritorno e le conseguenze a cascata sono state subite su più ambiti, anche sulla Democrazia. Eppure queste considerazioni scontate non sembrano essere in cima ai pensieri della gran parte della classe dirigente, al punto tale da spendere le proprie attenzioni su questioni diametralmente opposte alle nostre necessità.

E’ indicativo che dall’aprile del 2019 in Italia si sono spesi ben 13 miliardi di Euro per redditi di cittadinanza, pensioni di cittadinanza e reddito di emergenza senza un’analisi appropriata sulla povertà e scavalcandola con misure elettoralistiche e pedagogicamente errate. La platea coinvolta di beneficiati è di ben 4,4 milioni di persone e di circa 2 milioni di nuclei familiari.

Con la messa a disposizione di questa montagna di denaro, la povertà reale non è stata neanche scalfita con i 600 mila di poveri in più dall’aprile 2019 ed una risibile riduzione della povertà assoluta di appena l’1,6% nel 2020. Tutto ciò significa che si sono dati aiuti anche a chi poteva comunque procurarsi da vivere lavorando come i giovani, che i poveri veri non hanno beneficiato di alcuna provvidenza, che non si sono fatte politiche attive del lavoro e che la spesa pubblica è stata ancora una volta clamorosamente orientata a politiche pro-cicliche (spesa contro lo sviluppo), e non finalizzate alle urgenze sociali più gravi. Ma la beffa, come si sa dalle cronache, che molti fruitori di questi redditi non sempre erano in possesso dei requisiti previsti per legge.

Stante così la situazione, in occasione delle ultime decisioni governative non si è ritenuto più utile e trasparente rimuovere le decisioni sbagliate di 2 anni fa ed utilizzare le stesse somme per la povertà e le politiche attive del lavoro. La stabilità della maggioranza di governo ha prevalso su ogni altro ragionevole intento. Dunque, alla fine del discorso alla più parte della classe dirigente odierna, dei poveri interessa molto marginalmente. Ed ancora una volta i soldi pubblici vengono spesi, anche in situazioni drammatiche, come specchietti per allodole utili alla perenne competizione tra le forze politiche.

Raffaele Bonanni: