Molte volte, in questi 3 anni abbiamo avuto la sensazione che un declino della pandemia ne annunciasse la fine e altrettante volte l’auspicio è stato smentito. Perché di fatto fra i vari indici che ne monitorano l’andamento, qualcuno si manteneva sempre attivo, evocando il rischio di sviluppare una nuova ondata epidemica ove si fosse abbassata la guardia. Ad esempio in Italia una valutazione della curva epidemiologica registra un costante declino, dopo un ultimo picco di circa 240.000 casi nel mese di novembre 2022. Nell’ultima settimana di aprile sono stati segnalati 21.500 nuovi casi di cui 33 deceduti.
Il tasso di incidenza nell’ultima settimana di aprile si conferma in diminuzione rispetto alla settimana precedente e pari a 36 casi per 100.000 abitanti in media con punte di 66 casi per 100.000 abitanti nella fascia di età >80 anni. Tutte le curve, di ricovero in degenza ordinaria, in terapia intensiva e dei decessi risultano in diminuzione a partire dal mese di febbraio 2023 e sono pressoché azzerate nelle fasce di età con meno di 60 anni. Il tasso di letalità (CFR) è pari a 0.4% apparentemente in lieve aumento rispetto al mese precedente. In realtà questo aumento è legato a sottodiagnosi (aumento delle forme lievi non diagnosticate) e a sottonotifiche (aumento degli autotest). Il tasso di letalità attualmente risulta comunque in netta diminuzione: infatti è pari allo 0.7% (0.9% per i maschi e 0.7% per le femmine) se calcolato sul totale dei casi segnalati dall’inizio della pandemia. Al contrario, la percentuale di diagnosi di re-infezione da SARS-CoV-2 risulta in costante progressivo incremento e raggiunge il 33.2% di tutti i casi segnalati nell’ultima settimana di aprile (8.6% se calcolato su tutti i casi segnalati a partire dall’agosto 2021). Dall’inizio dell’epidemia sono stati riportati 26 milioni di casi, di cui 188.000 deceduti.
Nel complesso questi dati testimoniano la persistente circolazione del virus (Rt pari a 1.12 nell’ultima settimana di aprile), la presenza di una ampia proporzione di popolazione suscettibile (di oltre 56 milioni di persone) e in particolare di un ampio serbatoio di soggetti anziani e/o fragili non efficacemente protetto dal vaccino, poiché vaccinati incompletamente (senza dose booster) o da oltre 6 mesi. Tuttavia la situazione dell’Italia, in cui le luci prevalgono largamente sulle ombre, offre un riflesso molto parziale dell’evoluzione della pandemia. In questa era di globalizzazione il mondo è estremamente interconnesso, le comunicazioni sono molteplici e molto veloci, per cui va considerato un panorama epidemiologico più ampio e in particolare la situazione di paesi-continente (il Sud dell’Africa, il Brasile, l’India e la Cina) dove l’epidemia, come brace che arde sotto la cenere, può riaccendersi subitaneamente con l’emergenza di nuove varianti virali estremamente diffusive e destinate a diventare rapidamente prevalenti. Esaminando la situazione globalmente e in maniera dinamica, va considerata la situazione quale si realizza nelle varie Regioni del mondo e nella sua evoluzione recente con i dati riportati nel bollettino dell’O.M.S. del 30 marzo 2023, a 3 anni dall’inizio. Per quanto riguarda i nuovi casi mensili, questi restano nettamente più numerosi in Europa e nelle Americhe, rispettivamente 1.5 e 1.1 milioni, pari al 41% e al 31% del totale e risultano, rispetto al mese precedente, stabili in Europa e invece diminuiti del 30% circa nelle Americhe. Ma è soprattutto nella regione del Pacifico Occidentale che si assiste a una marcata riduzione di nuovi casi, che sono stati circa 900 mila, pari al 25% del globale, ma con una riduzione del 50% rispetto al mese precedente. Le 3 restanti Regioni O.M.S. contribuiscono ognuna per l’1% circa del globale. Nella regione del Sud Est Asiatico riscontriamo solo 28 mila nuovi casi, sia pure con un incremento del 150% rispetto al mese precedente. E analoga situazione vale per il Mediterraneo Orientale mentre per l’Africa si registra un decremento del 10%. Riferendoci ai singoli paesi, nella graduatoria mondiale dell’ultimo mese, prevalgono gli USA con 680 mila nuovi casi (decremento del 38%) e la Russia con circa 330 mila (incremento del 6%), cui seguono Corea e Cina entrambe con circa 250 mila nuovi casi mensili (decremento rispettivamente del 25% e del 50%).
Per quanto riguarda i nuovi morti mensili, le Americhe e l’Europa fanno registrare circa 10 mila decessi, pari al 43 e al 41% del totale, con una diminuzione rispettivamente del 38% e del 7% rispetto al mese precedente. Segue il Pacifico Occidentale con 3.400 morti, pari al 14% e una diminuzione di oltre il 70%. Cifre inferiori al 2% si riscontrano nel Mediterraneo Orientale (incremento del 95%), nel Sud Est Asiatico e in Africa (decremento rispettivamente del 6% e del 40%). Riferendoci ai singoli paesi, il Regno Unito si inserisce fra gli USA e il Giappone e la Cina. Nell’ultimo mese in tutti questi paesi si registra un decremento, particolarmente spiccato in Cina (-80%). Quindi, in definitiva, i nuovi casi mensili nel mese di marzo 2023 appaiono in decremento in 4 delle 6 Regioni O.M.S. e in incremento nel Mediterraneo Orientale e nel Sud Est Asiatico ma tale incremento non ha praticamente impatto sul globale rappresentando solo l’1% dei casi per entrambe le Regioni. Per quanto concerne i nuovi morti mensili si registra un decremento in 5 delle 6 Regioni O.M.S. e l’unica Regione in incremento, il Mediterraneo orientale, rappresenta solo il 2% della casistica globale. Per quanto riguarda i singoli paesi, gli USA danno il maggiore contributo casistico sia per i nuovi casi che i nuovi morti mensili, seguiti da Russia e Corea per i nuovi casi e da Regno Unito e Giappone per i nuovi morti. E’ da notare che tutti questi numeri, salvo che per la Russia, sono in decremento rispetto al mese precedente. Un dato confortante è che complessivamente la Regione del Pacifico Occidentale, che include il subcontinente indiano, registra per i nuovi casi un decremento dell’80%, del 90% e del 50% nei mesi di gennaio, febbraio e marzo rispettivamente, mentre per i nuovi morti un incremento del 170% ma un decremento dell’85% e del 70% negli stessi mesi. In controtendenza è la situazione nel Sud Est Asiatico, che include la Cina, dove si registra un incremento di oltre il 150% dei nuovi casi che, per quanto poco incida sul dato globale (1%), è tuttavia sintomatico. Infatti spunta finalmente la Cina in queste classifiche: ma la Cina merita un discorso a parte. In Cina tutto è iniziato e la Cina, con 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, resta un potenziale serbatoio formidabile, da cui la pandemia può minacciare tuttora di ripartire.
Inizialmente, nel gennaio 2020, l’annuncio all’O.M.S. dell’emergenza epidemica è stato dato con colpevole ritardo: la reticenza, motivata essenzialmente da motivi politici, ha dato tempo all’epidemia di trasformarsi in pandemia cogliendo di sorpresa il resto del mondo. Poi, quando ha dovuto ammettere il divampare dell’incendio, la Cina ha adottato una strategia di contenimento “zero Covid”, attuando draconiane misure di lockdown e di totale chiusura dei viaggi domestici e internazionali. Ordinare la chiusura in casa a metropoli di decine di milioni di abitanti e ordinare il blocco dei porti e degli aeroporti ha comportato una drastica caduta del PIL (Prodotto Interno Lordo) e, per la estrema rigidità dei provvedimenti, il malcontento fino a episodi di rivolta della popolazione. E tuttavia queste misure sono state mantenute per oltre 2 anni, fino all’autunno del 2022. Nel contempo è stato prodotto un vaccino “autarchico”, meno efficace di quello a m-RNA occidentale, e avviata una campagna vaccinale diretta non ai soggetti anziani e fragili ma ai soggetti in età lavorativa, in maniera che fossero risparmiati e pronti a riprendere le attività e riavviare prontamente l’economia.
L’arrivo di una variante virale, Omicron, nettamente più diffusiva non solo della variante originale (Wuhan), ma anche delle varianti alfa e delta, con indice di diffusione (Ro) superiore a quella dei virus più diffusivi, ad esempio morbillo e varicella, ha travolto gli argini della strategia “zero Covid” e drammaticamente cambiato lo scenario. A questo punto il brusco abbandono delle misure restrittive ha fatto sì che il “nuovo virus” diffondesse rapidamente trovando una popolazione largamente non protetta: si calcola che solo il 40% dei soggetti fragili avesse ricevuto la 3° dose e comunque una affannosa campagna di vaccinazione è stata adottata con l’uso di un vaccino efficace poco più del 50% rispetto al vaccino occidentale a m-RNA che, pur offerto gratis dalle agenzie internazionali , è stato sdegnosamente rifiutato dalle autorità governative cinesi. Questo scenario da reale “dittatura sanitaria” ha avuto riflessi decisamente preoccupanti: tuttora la Cina fornisce dati non affidabili all’O.M.S., estremamente sottostimati e protesta contro l’Occidente che decide di controllare i viaggiatori cinesi. Invece riteniamo che sia giusto testare chi proviene dalla Cina, non nell’obiettivo illusorio di fermare l’eventuale diffusione del contagio ma semplicemente per verificare la composizione genomica dei ceppi virali e essere avvertiti sull’emergenza possibile di varianti capaci di evadere la protezione anticorpale conferita dai nostri vaccini.