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Covid, cosa ci insegnano le differenti ondate della pandemia

La curva epidemica di COVID-19 in Italia, da febbraio 2020 a dicembre 2021, ha disegnato quattro successive fasi o “ondate”. L’andamento della curva epidemica è in concordanza con il numero crescente di tamponi diagnostici effettuati. La “prima ondata” ha travolto l’Italia, come primo Paese in Europa, nel marzo-aprile del 2020, facendo registrare un picco di circa 5.000 casi giornalieri notificati. Dopo una illusoria pausa estiva protrattasi fino ad agosto con circa 500-1.000 casi giornalieri, da settembre si è verificata una “seconda ondata” con un picco a fine ottobre di oltre 30.000 casi giornalieri. L’incidenza cumulativa dei casi in questa “seconda ondata” ha superato di oltre 6 volte quella della “prima ondata” mentre il numero dei decessi è incrementato “solo” di 1,5 volte. A questa fase, dopo un periodo di stabilizzazione “in plateau” con circa 5.000 casi giornalieri, protrattasi fino a febbraio 2021, ha fatto seguito una “terza ondata” che ha registrato un picco nel marzo 2021 annoverando oltre una media di 30.000 casi giornalieri. Appare al limite improprio per questa impennata di casi di febbraio-marzo 2021 parlare di “terza ondata” poiché, a differenza della “prima ondata” di marzo-aprile 2020, che esaurendosi aveva praticamente azzerato i casi incidenti, la “seconda ondata” non è mai scesa al disotto dei 5.000 casi giornalieri e le misure di mitigazione attuate hanno potuto solo “stabilizzare” la situazione, che è prontamente riesplosa quando tali misure sono state allentate. A questo punto il ripristino di lockdown, sia pure parziali, dalla seconda metà di marzo e protratto fino a metà giugno, e soprattutto l’attuazione a pieno regime della campagna di vaccinazione e il sopravvenire della stagione estiva, sembrava avere potuto avere ragione dell’epidemia in Italia.

In effetti, si è manifestato nel giugno 2021 un forte decremento dell’incidenza dei nuovi casi, specie nella fascia d’età over 50. Si è registrata in particolare una netta discesa del tasso di incidenza dei casi settimanali per 100.000 abitanti e dell’indice Rt medio sintomatico a 14 giorni, il che ha comportato un corrispondente aumento della classificazione solo di alcune Regioni in zona “gialla” e della più parte in zona “bianca”. Il tasso di positività raggiungeva valori pari o anche inferiore a 1. Si è alleggerito l’impatto sulle strutture territoriali con ripristino delle attività di tracciamento. L’impatto sui reparti Covid e sulle terapie intensive appariva decisamente alleviato portandosi nettamente al di sotto delle soglie critiche per la classificazione in zona “gialla” o “arancione”. Anche l’andamento della curva dei nuovi morti risultava in progressivo declino, da circa 100-200 al giorno nel mese di maggio a 10-30 nel mese di giugno. Il decremento dei nuovi casi e dei nuovi morti, all’esaurirsi della “terza ondata”, configurava quindi una situazione decisamente più rosea che al termine della “seconda ondata”. È vero che la situazione riproduceva in sostanza quella che avevamo riscontrato alla fine della “prima ondata”. E si ricorderà che allora il ritorno nell’estate a condizioni di “vita normale” aveva acceso in autunno l’impennata di casi della “seconda ondata” spinta dall’avvento della variante “inglese” o “Alfa”.

Ma ora, a differenza di allora, vi è la disponibilità dei vaccini, che, fortunatamente, sono così efficaci, almeno nei confronti della malattia grave, da con- sentire il controllo dell’impatto delle varianti più trasmissibili. La vera preoccupazione resta l’elevata percentuale di persone non vaccinate, in particolare la quota di “no vax” e di “esitanti” nella fascia di età > 50 anni e di “famiglie esitanti” a vaccinare ragazzi fra 5 e 11 anni, prima dell’inizio dell’anno scolastico. Il declino della “terza ondata” nel mese di giugno 2021, combinata con il successo della campagna vaccinale condotta nella popolazione adulta, faceva presagire la scomparsa dell’epidemia in Italia, pertanto configurando il Covid alla stregua di infezione di stagione. In questo vi è una componente di verità, ma la stagionalità è solo uno dei fattori che governa l’andamento epidemico. Altri fattori entrano in gioco, primo fra tutti l’avvento di varianti virali. E puntualmente in giugno e luglio, prima nel Regno Unito e Francia, poi in Italia e Spagna, ha fatto irruzione sulla scena la variante “indiana” o “Delta”. Pertanto, l’illusione è stata di breve durata: già in agosto si è registrata una risalita della curva che, dopo un avvallamento in settembre e ottobre, ha ripreso a salire da novembre impennandosi con andamento esponenziale nel dicembre 2021. A questo incremento ha certamente contribuito anche il grande numero di tamponi effettuati per motivi “amministrativi”, per il rilascio della certificazione sanitaria ai soggetti non vaccinati ovvero per ottenere l’uscita dalla quarantena da parte dei contatti e dagli isolamenti da parte dei soggetti positivi guariti.

Questa, che possiamo definire “quarta ondata” bifasica, ha raggiunto numeri di casi giornalieri nettamente superiori rispetto alla “terza ondata”, tale da sfondare ampiamente quota 100.000 al giorno. Tutti gli indici ancora una volta si sono impennati: l’indice di positività, i tassi di incidenza, l’indice di trasmissibilità Rt e, quello che più conta, sono state oltrepassate le prime soglie di occupazione dei letti COVID nei reparti normali (15%) e nelle terapie intensive (10%) pressoché in tutte le regioni, che ora si trovano in zona “gialla” e, alcune, in zona “arancione”.

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