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Covid-19: un bilancio di tre anni di pandemia

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Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay

Sono trascorsi 3 anni da quando l’O.M.S. ha dichiarato “pubblica emergenza di interesse globale” la comparsa della pandemia da SARS-CoV-2 suggerendo la denominazione di COVID-19.

In questo lasso di tempo abbiamo maturato un’esperienza che ci permette di tentare un bilancio, ponendoci alcune fondamentali domande:

1. Come la pandemia è evoluta?

2. Quali sono i fattori determinanti che ne sostengono l’evoluzione?

3. Cosa abbiamo imparato sull’efficacia e i limiti dei mezzi impiegati per contrastarla?

4. A che punto siamo: è prossima la fine della pandemia?

1. Come la pandemia è evoluta?

I dati relativi ai casi e ai morti, segnalati dall’O.M.S. mediante il bollettino Covid-19 Weekly Epidemiological Update del 4 gennaio 2023, disegnano 2 curve entrambe con profili ondulati, ma distinte nettamente: la curva dei casi presenta fondamentalmente due picchi in corrispondenza di gennaio e di agosto 2022, la curva dei morti un susseguirsi di vari picchi salienti: nel marzo e nel dicembre 2020 e quindi ancora nel maggio e nel settembre 2021 e infine nel febbraio 2022 (susseguente al più rilevante picco dei casi di gennaio).

La maggiore consistenza casistica cumulativa è sostenuta dall’Europa [dati cumulativi dei casi 270 milioni (41%) e dei morti 2 milioni e 150.000 (32%)] e dalle Americhe [dati cumulativi dei casi 140 milioni (32%) e dei morti 2 milioni e 900.000 (43%)] con anche un rilevante apporto del Pacifico Occidentale (16% dei casi e 4% dei morti). L’Africa assomma l’1% dei casi e il 3% dei morti. Il Mediterraneo Orientale il 4% dei casi e il 5% dei morti e il Sud Est Asiatico il 9% dei casi e 12% dei morti.

Globalmente le cifre della pandemia sono drammatiche: a tutto il 2022 circa 660 milioni di casi e 6 milioni e 700.000 di morti. Questi sommariamente esposti sono i dati ufficiali confermati, raccolti sulla base della definizione di caso, trasmessi dai vari paesi all’O.M.S. Per alcune regioni l’affidabilità resta dubbia, per vati motivi e si ha ragione di ritenere che tali dati siano in generale largamente sottostimati. Il Covid-19 è una pandemia sostenuta da un virus respiratorio altamente contagioso e virulento, il SARS-CoV-2; la trasmissione è per via aerea tramite droplets e per aereosol. La diffusione della pandemia è condizionata pertanto dai rapporti interumani, in particolare dagli affollamenti in ambienti chiusi: questi sono favoriti dal freddo e dalle precipitazioni atmosferiche e pertanto ci si aspetterebbe una stagionalità invernale fra i determinanti della diffusione. Tuttavia nei fatti, a differenza dell’influenza, non si riscontra un’epidemia stagionale ma invece un andamento irregolare caratterizzato da picchi e avvallamenti in tutto l’arco dell’anno, che riflettono sostanzialmente la varietà e la cronologia dei provvedimenti assunti per contrastare la diffusione.

Fra questi si segnalano i dispositivi di protezione individuale, essenzialmente le mascherine facciali, la cui adozione è di importanza fondamentale. Basti considerare che l’adozione generalizzata nel 2020 e nel 2021 ha praticamente azzerato di riflesso l’epidemia di influenza stagionale.

Evidentemente notevole importanza rivestono altresì altri più impegnativi interventi di sanità pubblica: i provvedimenti di distanziamento sociale e l’attuazione di strategie di sorveglianza e controllo. Il distanziamento sociale è prescritto con vari livelli di gradualità: dalla raccomandazione di mantenere almeno 1 metro di distanza nelle file (al supermercato, alle biglietterie) e nelle sale d’aspetto o nei negozi, alla limitazione o proscrizione delle visite a pazienti ospedalizzati o ospiti di RSA, fino a veri lockdown ossia confinamenti domiciliari. Questi possono essere individuali (isolamento di soggetti infetti e quarantena dei “contatti”) o generalizzati (a città, regioni o nazioni intere). Fra i provvedimenti di sanità pubblica si segnalano la registrazione e il monitoraggio dei casi (graduati da asintomatici a malati gravi) e dei decessi (distinguendo decessi “per” o “con” Covid, ossia che interessano pazienti ricoverati per altri motivi e riscontrati positivi ai tamponi molecolari). Ma soprattutto la tipizzazione genotipica degli isolati virali.

Queste attività rivestono la massima importanza: limitare la diffusione significa anche limitare lo sviluppo di mutazioni genomiche e quindi di varianti, la cui emergenza condiziona lo sviluppo di successive “ondate” epidemiche. Ad esempio il picco dei casi più rilevanti, quello di gennaio 2022, cui fa riscontro una successiva cuspide di morti nel febbraio, è dovuta all’emergenza della variante Omicron.

Ma il provvedimento di contrasto più importante, in questa come in tutte le epidemie, è la profilassi vaccinale. La ricerca farmacologica ci ha consegnato in tempi brevissimi vaccini (m-RNA) anti SARS-CoV-2 estremamente efficaci e sicuri nel prevenire l’infezione e ancor più la malattia grave e altresì adattabili alla necessità di essere aggiornati con l’emergere di nuove varianti, capaci di “evadere” l’efficacia degli anticorpi sia indotti dalla infezione naturale che dai vaccini.

L’evoluzione della pandemia, con andamento a picchi e avvallamenti, è condizionata dall’intensità e dalla più o meno ampia generalizzazione degli interventi di contrasto non farmacologici e dalla estensione della “copertura” vaccinale. In assenza di questi, l’irruzione di un “nuovo” virus altamente diffusivo in una popolazione non protetta, inevitabilmente causerebbe un evento epidemico a evoluzione continua la cui unica barriera naturale sarebbe lo sviluppo di “immunità di gregge”, ottenibile nel lungo periodo a costo di falcidiare proporzioni importanti della popolazione mondiale.

Cosa abbiamo imparato sull’efficacia e i limiti dei mezzi impiegati per contrastarla? L’andamento di una curva epidemia, che disegna alternarsi di picchi e avvallamenti, per l’interazione di determinanti facilitatori o deterrenti della trasmissione, significa di fatto che l’epidemia dopo 3 anni è ancora viva come brace che arde sotto la cenere, pronta a riaccendersi.

Esaminiamo l’interplay dei fattori determinanti. Dell’efficacia delle mascherine facciali si è detto: quando adottate generalmente hanno perfino azzerato di riflesso l’epidemia stagionale di influenza; quando ci si è limitati a prescriverne l’impiego in limitati settori (fondamentalmente gli Ospedali) si è puntualmente riscontrato il ritorno in comunità dell’influenza stagionale (nel nostro paese responsabile annualmente di oltre 7 milioni di casi) e perfino la presenza di casi di infezioni da virus respiratorio sinciziale (VRS) negli adulti.

Certamente efficace, ma ben più impegnativa e non scevra di inconvenienti, è l’adozione di mezzi di distanziamento/allontanamento sociale. Sotto il profilo epidemiologico, l’uomo è l’unico ospite e vettore dell’infezione di SARS-CoV-2 per cui, ovviamente, in assenza di contatti umani la pandemia è destinata a spegnersi. D’altra parte questi sistemi sono i più antichi e intuitivi, adottati nel contrasto di tutte le “pestilenze” che hanno costellato la storia dell’umanità nei secoli. Il Decamerone è la narrazione di una brigata che riparava nel contado lasciando l’affollata Firenze con la peste. Ma nelle società attuali il danno che arreca il lockdown, più o meno generalizzato, è enorme. Fermare le attività industriali, commerciali e il terziario determina la paralisi di una società che è estremamente interconnessa. Questo rischio va scongiurato in ogni modo e quindi tale provvedimento può essere adottato solo a fronte di evidenze scientifiche drammatiche. Così abbiamo fatto in Italia, e di seguito in Europa, nella prima fase epidemica pagando un grande prezzo economico, così non hanno fatto gli USA pagando in compenso gravi prezzi in termini di vite umane che tuttora perdurano.

Solo la presenza di un vaccino efficace, già disponibile al termine del primo anno, ha acceso una luce, ha offerto una prospettiva potente e sostenibile. Ora dopo 2 anni di campagne vaccinali, ne abbiamo riscontrato i decisivi successi ma anche registrato alcuni limiti. In primo luogo il progressivo svanire della protezione nei confronti soprattutto della malattia grave, che ha comportato la necessità di “richiami” successivi e di “dosi aggiuntive di rinforzo” mediamente dopo 4-6 mesi l’una dall’altra.

Altro limite evidente è stato determinato dall’emergenza di varianti virali, per accumulo di mutazioni nel sito “bersaglio” (spike), che in qualche misura consentono al virus di evadere dalla neutralizzazione anticorpale. La plasticità dei vaccini a m-RNA consente peraltro agevolmente di creare vaccini modificati che incorporano le nuove proteine mutate cosicché già oggi disponiamo di vaccini bivalenti, costruiti sulla variante storica (Wuhan) abbinata alla variante aggiornata (Omicron).

Prof. Giampiero Carosi: