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Cosa fanno le agenzie di rating

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Varato, non senza ritardo e qualche mal di pancia, il Def l’attenzione di molte testate giornalistiche è, oggi, indirizzata alla revisione dei giudizi sull’Italia da parte delle agenzie di rating.

Fin dalla questione Lehmann Brothers l’interesse verso queste società si è accentuato, perfino immaginandole come le artefici di fantomatici complotti volti a destabilizzare anche interi paesi, cosa che portò anche all’apertura di un’indagine da parte della Procura di Trani ma che, come logico, è finita in una bolla di sapone.

Perché dico “come logico”? Perché molto di quello che il web e la gente al bar dice di questi importantissimi attori del mondo finanziario è completamente campato per aria.

Per capire di cosa si stia parlando vale la pena fare, prima, un passo indietro e comprendere cosa sia un rating.Questo è, semplicemente, un giudizio di solvibilità dell’indebitamento di un soggetto, che sia una società o uno stato oppure, persino, una persona se ci si riferisse ai rating interni delle banche, e viene utilizzato per misurare il merito creditizio.

Esistono due tipi di rating:

solicited, sono quei giudizi richiesti direttamente da aziende e Stati sovrani, a pagamento, per valutare la futura emissione di un titolo di debito;

unsolicited, sono, invece, giudizi, che nascono su iniziativa diretta delle agenzie. L’esempio più pertinente sono i giudizi sui debiti sovrani che, puntualmente, vengono emessi qualora ci fosse una mutazione di scenario sui mercati internazionali o nella vita politica interna di uno stato.

Con una certa malizia, un solicited rating, ovviamente, potrebbe essere sospettato di una certa bonarietà nel giudizio, dovuto alla natura onerosa della richiesta, mentre un unsolicited rating, invece, potrebbe essere pensato come emesso per spingere aziende o Stati a richiedere, a pagamento, una nuova analisi, magari più favorevole di quello emesso in precedenza. Questa congettura, in un ambito di alta professionalità come quella richiesta per operare in questo settore, è priva di qualsiasi fondamento, poiché andrebbe a minare la credibilità dei giudici, aspetto indispensabile per poter continuare a lavorare in un mercato che si basa esclusivamente sulla reputazione di affidabilità degli attori.

Ciò detto un’altra tra le numerose critiche che, spesso, si sente rivolgere, nei talk show e in vari blog, alle tre più importanti agenzie, Moody’s, Standard&Poor e Fitch, si basa sul conflitto d’interesse eistente vista la composizione dell’azionariato, soprattutto delle prime due, dove sono presenti numerosi fondi di investimento, con partecipazioni dirette o indirette, che potrebbero “pilotare” i giudizi per ottimizzare le loro strategie finanziarie.

Come per il caso precedente, però, anche questa obiezione può benissimo essere considerata, senza possibilità di reale smentita, come priva di fondamento, sempre per le caratteristiche reputazionali che sono alla base del business e, soprattutto, per l’agguerrita concorrenza che si è aperta nel settore anche per via di agenzie “minori” che, spesso, si dimostrano più reattive e “sul pezzo” rispetto alle tre più famose.

Si parla, ad esempio, dell’americana Egan Jones o della cinese Dagong o, ancora, della canadese Dbrs ma anche delle italiane Cerved Group, Crif Ratings e ModeFinance, per già rispondere a chi, più volte, abbia detto che servirebbe un’agenzia di rating nazionale a tutela degli interessi del Paese.

Come illustrato, quindi, i rating, i giudizi di solvibilità dati dalle agenzie autorizzate, sono uno strumento fenomenale per valutare il rischio di un investimento, che sia personale o istituzionale, come attraverso i fondi pensione, e non possono essere percepiti come una minaccia.

Il rating, come è ovvio, è un giudizio ex post rispetto ad avvenimenti certi e basato su un modello previsionale verso il medio-breve termine, quindi se un’agenzia bocciasse il debito pubblico di uno stato farebbe questo perché la situazione attuale sarebbe altamente compromessa e il rischio di insolvenza sensibilmente aumentato rispetto alla situazione precedentemente esaminata. Contrariamente a quello che molti credono, poi, un rating alto non è una garanzia di redditività di un titolo ma esclusivamente l’indicazione della solvibilità del suo debito, tanto che solitamente il limite in alto, il cap come si dice in gergo, di questo giudizio su un’azienda è il rating Paese dello stato in cui essa è situata. Il rating di IntesaSanPaolo, ad esempio, è BBB per tutte le agenzie (Baa1 per Moody’s che ha una scala differente) ma nessuno si sognerebbe mai di considerare la banca meno solida di Crédit Agricole, ad esempio, che vanta un rating c.d. A level come è possibile vedere dai valori patrimoniali da cui l’italiana risulterebbe, addirittura, ben più solida rispetto alla francese.

Questo discorso, quindi, porta a una conclusione intuitiva ma non così scontata, per via delle varie leggende fomentate attraverso i media, che i rating altro non siano che un giudizio, un voto, che viene assegnato da professionisti affermati nel settore della valutazione del rischio di credito sulla solvibilità di aziende e Stati ma che da soli poco vogliono dire (qualora rientrassero nella categoria c.d. di investment grade) perché possono essere influenzati da diversi fattori esterni al singolo caso studiato e vanno interpretati e declinati all’interno di un’analisi più ampia. Le agenzie di rating, poi, non sono il braccio armato della finanza internazionale ma, piuttosto, uno scudo posto a favore degli investitori più piccoli e delle istituzioni per poter valutare più semplicemente la convenienza di un investimento e solo comprendendo questo si può arrivare a capire cosa possa voler dire veramente una bocciatura o una promozione da parte di esse.

Matteo Gianola: