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Cosa c’è dietro la richiesta dei Paesi di voler costruire muri ai confini

Non può essere presentata come il colpo di testa di qualche premier “sovranista”. Deve esserci qualcosa in più di una impuntatura ideologica se 12 Stati membri, di varia latitudine, longitudine e colore politico – Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca – chiede alla Commissione europea di finanziare “in via prioritaria” e in “modo adeguato” le barriere fisiche ai confini, definite “un’efficace misura di protezione nell’interesse dell’intera Ue” e del funzionamento dell’area Schengen. In realtà sarebbero 13 con la Slovenia, che ha affermato di condividere l’istanza e di non averla sottoscritta solo perché presidente di turno dell’UE. Siamo a quasi la metà di partner dell’Unione: tutti ottusi e ostili all’accoglienza?

Prendiamo una carta geografica e una calcolatrice: si ha idea della qualità di profughi dall’Ucraina accolti dalla Polonia negli ultimi anni? E di quelli in fuga dalla Bielorussia, che oltrepassano i confini della stessa Polonia e della Lettonia? E della loro incidenza, attuale e potenziale, sulla popolazione residente nei due Paesi europei? Si ha presente che l’Ungheria è uno Stato con dieci milioni di abitanti, e che se la Turchia, come ha fatto nel 2015 e come ogni tanto minaccia di ripetere, dovesse far uscire dal proprio territorio anche solo una parte dei milioni di persone che oggi ‘ospita’, il primo impatto graverebbe proprio, e in modo insostenibile, sul territorio magiaro?

A fronte di queste prospettive, l’UE continua nella linea di minimalistica inefficienza, scaricata di fatto su ciascun singolo Paese. Non rassicura il poco fatto finora: i ricollocamenti dei migranti arrivati Italia negli ultimi anni, cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati – quindi non migranti economici o dal profilo incerto – non hanno superato le decine, non decine di migliaia, di unità, mentre il dossier libico non è neanche aperto, e la sola linea di intervento sui confini orientali è continuare a sovvenzionare la Turchia, oltre i sei miliardi di euro finora a essa consegnati.

I muri non costituiscono una soluzione, vengono incontro alle paure delle popolazioni interessate dagli arrivi, tutelano le esigenze di sicurezza in modo relativo, ma non possono essere il pretesto per censure di egoismo dalle comode e incolori stanze delle istituzioni comunitarie. Costituiscono un allarme e un moto di insofferenza, mai così esteso, ma soprattutto una sollecitazione a prendere finalmente in carico, in modo unitario, la questione immigrazione. Sarebbe irresponsabile trascurarlo e proseguire nell’indifferente delega ai singoli Stati. Che a quel punto decideranno di fare sempre più per conto proprio, e a modo proprio.

Alfredo Mantovano del Centro Studi Livatino

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