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Coronavirus, le mosse europee e l’impatto sugli assetti nazionali

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Assetti geopolitici, provvedimenti salva-economia, disposizioni comunitarie senza precedenti: è un quadro mutevole quello dell’Europa che affronta il coronavirus ma che, dopo settimane di incertezze, inizia a fornire le prime risposte concrete. Misure di contrasto mirate a fornire una prima stabilità sulla linea di galleggiamento, con l’obiettivo perlomeno di cavalcare, al meglio delle proprie forze, le onde della pandemia. “Tutte le previsioni sono scritte sull’acqua – ha spiegato a Interris.it Giampiero Gramaglia, giornalista e consigliere scientifico Iai, con specializzazione in relazioni atlantiche e unitarie – perché, da quelle economiche a quelle geopolitiche, nessuno è in grado di prevedere con certezza l’entità e la durata del fenomeno. Abbiamo l’esempio cinese, dove l’emergenza si può considerare superata, seppur esposta a rischio di ritorno“.

Deficit gestionale

Il Vecchio Continente, via via diventato centro gravitazionale della pandemia, vive ora la sua fase di crisi: “In Europa, con molta sorpresa, l’emergenza appare confrontabile con quella della Cina e, in termini di somma di decessi, perfino peggiore. Poi ci sono intere aree mondiali dove, con un po’ di buonsenso, ci si aspettava un trend ancora peggiore (ad esempio l’Africa), ma dove in realtà se sta succedendo non ce ne stiamo accorgendo. Ci sono delle caratteristiche di questo virus che ancora non sono state percepite e che lo rendono più pericoloso in alcune aree piuttosto che in altre, quindi non abbiamo dati molto precisi. Certo, dal punto di vista della risposta emerge con chiarezza una carenza di governance mondiale di fronte a un fenomeno di questo genere. Non c’è una struttura di coordinamento politico ed economico che garantisca risposte tempestive e coordinate. L’Oms può servire a livello sanitario, ma il G7 non è adeguato come dimensioni e il G20 troppo labile come struttura. Ha più struttura di decisione l’Unione europea, che però non ha poteri in termini sanitari. Per cui vediamo che l’Ue non ha praticamente avuto ruolo nella reazione sanitaria, mentre assume un ruolo quando si stratta di intervenire per contrastare la crisi economica. Lì l’Unione ha strumenti che in parte ha deciso di attivare o che sta per attivare, come la sospensione del Patto di Stabilità, ricorso al Mes. Altri strumenti, che non è detto vengano attivati, sono nuovi, come i Coronabond, una versione specifica dell’Eurobond che però continuano a scontrarsi con la diffidenza degli ufficiali pagatori nei confronti dei Paesi percepiti come tendenzialmente spendaccioni. Questo strumento appare assumersi la garanzia di spese che altri fanno, non soggette al controllo di chi le deve garantire. Non sono sicuro che lì la situazione si sblocchi“.

Sanità senza sovranità

Una sfida, quella del Covid-19, che mette in discussione ancora una volta il ruolo dell’Unione europea nella gestione comunitaria degli eventi: “Nel momento in cui l’emergenza è esplosa, si è sentita una serie di voci, quasi sorprendenti, che esplodevano in grida ‘dov’è l’Europa’. Sul fronte sanitario, l’Europa non interviene perché non ne ha il potere, perché le visioni ‘sovraniste’ degli stati hanno fatto sì che non ci fosse delega in materia di sanità all’Unione europea. E’ un po’ la situazione dello Stato italiano, dove la sanità è competenza delle regioni. Poi la sanità nazionale ha degli strumenti con cui, in tempi di crisi, avoca a sé dei poteri. Ma l’Ue non li ha. Dal punto di vista sanitario non c’è una sovranità europea. L’Europa potrebbe averla ma bisogna discuterne”.

Quantitative easing

Poi c’è l’aspetto economico. Forse il più scottante per quanto riguarda l’Europa e, nondimeno, quello in cui i vertici di Bruxelles e Francoforte hanno concentrato gli interventi più tangibili: “L’emergenza costa, blocca l’economia e questo ha a sua volta dei costi, a cui gli stati rispondono con stanziamenti straordinari, che li portano a rompere certi vincoli che avevano sul piano europeo (il Patto di Stabilità ad esempio). E’ una decisione temporanea, ma credo sia stata presa con una certa rapidità e tempestività. L’Unione europea potrebbe decidere di utilizzare strumenti di grande potenza per interventi straordinari come i fondi disponibili dell’ex fondo Salva-Stati, oppure lanciare un nuovo Quantitative easing che dovrebbe dare respiro all’economia, consentendo prestiti, alle imprese di finanziarsi a basso costo e alle banche di concedere finanziamenti a tassi molto bassi. Bisognerà vedere se i sistemi bancari nazionali coglieranno o meno queste opportunità: quello italiano non ha colto tutte quelle derivate dal Q.e. dell’epoca di Draghi. Se lo farà ora non è chiaro. L’Europa ha messo in campo già tre ordini di risposte che possono avere un certo impatto e che sono stati decisi in tempi relativamente brevi”.

Questione di Pil

Da capire se, in questo quadro, l’Europa sia in grado di far fronte effettivo a un complicato dopo-crisi, in cui le economie nazionali (e anche quella comunitaria) faranno i conti con gli effetti della gestione emergenziale: “Credo che il rischio principale sia quello di un inabissamento del Pil europeo rispetto agli andamenti del Pil statunitense e di quello cinese. Quindi la principale urgenza è quella di tamponare la ferita. Poi si cercherà di stabilizzare la situazione. Non sapendo ancora quando si riparte, bisogna essere pronti a farlo e, soprattutto, a essere vivi quando sarà il momento. In caso contrario, tutto diventa più difficile. In questo momento, governi dalle affidabili lucidità economiche, come quello tedesco, prevedono interventi di grossa entità e penso siano necessari per arrivare a un dopo-emergenza in modo da arrivare in condizioni tali da poter innestare una ripresa”.

Relazioni internazionali

Sul piano dei possibili effetti sulle relazioni internazionali, sarà necessario capire se l’emergenza pandemia lascerà strascichi comuni o se, a bocce ferme, le divergenze ne risulteranno fomentate: “Dobbiamo abbandonare i complottismi in questa circostanza. Per valutare eventuali cambiamenti di equilibri bisognerà vedere come si svilupperà nei prossimi mesi: se lascerà macerie in Europa o negli Stati Uniti, se ne intaccherà i livelli di crescita… Certo, tutto quello che sta succedendo, a livello di relazioni e rapporti fra i Paesi, non credo provocherà una migliore intesa fra Usa e Cina, se alla fine dell’anno il presidente sarà lo stesso. Colpisce poi il fatto che all’Italia arrivino aiuti da Cina, Russia e Cuba ma non da quello che era tradizionalmente il Paese al quale si rivolgevamo, gli Stati Uniti. Sono piccoli gesti e ritengo siano bravi a cogliere queste occasioni di solidarietà. La Cina penso stia restituendo con gli interessi quello che noi abbiamo dato in termini di aiuti quando c’era la crisi di Wuhan. Su quale sarà l’impatto sulle relazioni interstatali è ancora presto per dirlo“.

Damiano Mattana: