“Il primo albore o aurora fa passare dalle tenebre alla luce … L’aurora annuncia che è trascorsa la notte e tuttavia non mostra ancora tutto lo splendore del giorno, ma mentre caccia la notte e accoglie il giorno, conserva la luce mescolata con le tenebre” (S. Gregorio Magno, fine VI secolo)
Potrebbe essere la metafora di questo tempo post-Covid, di questa strana “aurora” dopo le “tenebre” dell’epidemia. Sono certamente numerose le chiavi di lettura che si possono adottare per leggere questi ultimi mesi di lockdown, di sofferenza e di morte. Infatti, non passa giorno che non ci vengano proposte le interpretazioni più disparate e questo mi dà coraggio per proporne una che – a quanto mi è dato di vedere – è proprio fuori dal “politicamente corretto”.
Stiamo assistendo alla messa in campo di una miriade di strategie per fermare, eliminare, distruggere la pandemia, ed anche per assicurarsi che non accada mai più. Anche a livello religioso, abbiamo giustamente assistito e convintamente partecipato a veglie, invocazioni, preghiere di intercessione perché la divina misericordia ci accordasse il suo potente aiuto per liberarci da questo nemico portatore di morte. Tutto ciò è sicuramente giusto e necessario, ma parziale. Manca lo sforzo di trovare una risposta alla domanda che ogni cristiano dovrebbe porsi: “Perché accade tutto questo?”.
La storia della Salvezza è ricchissima di eventi dolorosi e tragici che il popolo eletto ha dovuto affrontare e per ognuno di essi risulta che si è posto davanti al quesito di cercare di capire – e di trarne, quindi, una utile lezione – qual’era il messaggio che l’Altissimo voleva loro trasmettere. S.Agostino, nel suo “De Corruptione”, parla di quella che definisce la “voluntas permissiva” di Dio: il male può accadere, perché Dio lo permette, in vista di un bene più grande. E Dio ha come Sua volontà indefettibile, la salvezza di tutti gli uomini, sue creature.
Alessandro Manzoni sceglie di chiudere il suo capolavoro con un confronto fra Renzo e Lucia sul senso della storia personale loro accaduta e sulla peste che aveva ucciso innumerevoli vite umane. Giunsero a questa conclusione: “I guai vengono spesso perché ci si è dato cagione … e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”. Dunque, un duplice aspetto, le due facce di una stessa medaglia: chiederci quale sia la nostra responsabilità, personale e sociale, di fronte al male e, nel medesimo tempo, trasformarlo in occasione per “una vita migliore”. Mi chiedo se questo processo, che non esiterei a definire catartico, è in atto in ciascuno di noi e in un’analisi critica della nostra società, senza polemiche ma anche senza falsità e buonismi.
Nel “foro interno” di ciascun uomo, solo Dio vede, ma – per il resto – non mi sembra di aver colto nessun segnale di una pubblica revisione del nostro vivere sociale, sempre più radicato nell’individualismo e nella cultura della morte e dello scarto. Non ho sentito dire che l’esperienza delle migliaia di morti ci ha aperto gli occhi sul grande valore della vita come bene sacro, intoccabile, indisponibile all’arbitrio dell’uomo, dal concepimento alla morte naturale. In piena epidemia la “strage degli innocenti” non si è fermata, anzi c’è chi ha chiesto l’aborto “fai da te” a domicilio; non abbiamo cercato di mettere in campo ogni possibile soluzione per salvare bimbo e donna dalla piaga dell’aborto; non abbiamo sentito voci autorevole levarsi per chiedere perdono per le “strutture di peccato”, come le definì San Giovanni Paolo II, che la nostra cultura impazzita ha costruito negli ultimi decenni; non abbiamo sentito appelli alla conversione e al ritorno al piano di Dio Creatore, che ha pensato e voluto l’uomo e la donna, la sessualità procreatrice, la famiglia in cui Egli stesso si è voluto incarnare, spazzando via “colonizzazioni ideologiche” e “sbagli della mente umana”, come ci insegna Papa Francesco.
Purtroppo, sembra che stia accadendo proprio il contrario: passata la grande paura stiamo ritornando al nostro “brago” della cultura della morte. Invece che risipiscenza e pentimento, pervicacia nel male; magari con l’aggiunta che – dopo aver allenato il popolo a rinunciare a pezzi importanti di libertà – gli si imponga di rinunciare alla stessa libertà di pensiero ed opinione attraverso l’introduzione del cosiddetto “reato di omofobia”, imponendo un pensiero unico su temi altamente sensibili come l’affettività e la sessualità, con i valori morali ad esse collegate secondo cui educare i propri figli. Siamo ancora in tempo: un umile “mea culpa” di fronte al male che genera altro male e una sana conversione, personale e sociale, possono salvarci da quel “male” che è terribilmente più devastante della morte e che non dobbiamo avere timore di chiamare con il nome che si addice, peccato, personale e sociale. Auspicando che possa essere così, COVID può diventare quella “provvida sventura” foriera di tanto bene, che Manzoni pone a chiosa del suo romanzo: “Questa conclusione, benchè trovata da povera gente, è parsa così giusta che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia”.