Le prospettive che emergono dal G20 di Roma e dalla Cop26 di Glasgow sollevano inevitabilmente molti interrogativi. Emerge chiaramente la difficoltà di trovare compromessi tra Stati che hanno priorità molto diverse per ragioni economiche, sociali e ambientali. Ha ragione Biden, quando afferma che trovare un accordo sul clima è anche una sfida per dimostrare che la democrazia funziona. Perché le decisioni da prendere sono complesse, richiedono sforzi elevati in termini di politiche pubbliche e richiedono il difficile coinvolgimento di tutti i popoli, di ciascun cittadino.
L’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi, sembra per ora la conferma di una buona intenzione che rimane senza un piano concreto di applicazione, senza una road map condivisa. Se poi aggiungiamo l’annuncio di Cina e India di puntare ad azzerare le emissioni nocive soltanto entro il 2060 e 2070, possiamo dire che il consesso di Glasgow stia deludendo parecchio chi sperava in una svolta. A cominciare dai tanti manifestanti e dai 400 giovani di Youth4Climate. Per dirla con le parole di Greta Thunberg, la Cop26 rischia di essere l’ennesimo “bla bla bla”.
A guardare il bicchiere mezzo pieno, però, almeno due news interessanti da Glasgow al momento ci sarebbero, e sono il taglio di emissioni di metano del 30%, che 100 Paesi assieme a Stati Uniti e Ue si impegnano a portare a termine in questo decennio, e la decisione di fermare la deforestazione entro il 2030 con lo stanziamento di 18 miliardi di euro per recuperare i territori danneggiati. Un obiettivo ambizioso, al quale hanno aderito anche Cina e Brasile, accusato spesso di non fare abbastanza per tutelare la foresta amazzonica, polmone verde del pianeta.
Attenzione però. È importante che non passi un messaggio, un po’ retorico, demagogico, e antiscientifico, di una forestazione che fa bene all’ambiente se resa intoccabile dall’uomo. Perché quanto siano importanti i boschi per contrastare l’inquinamento è cosa nota, mentre quel che è meno noto è che non basta far crescere il verde per assorbire l’anidride carbonica e arrestare il consumo di suolo, ma occorre un patrimonio forestale sano, curato da chi ne ha le competenze e ben governato dalle amministrazioni locali, regionali e nazionali.
Non a caso, questo è uno dei 15 temi che la nostra Federazione sta tenendo al centro delle riflessioni della fase congressuale, che ha un titolo inequivocabile: “RiGenerazione: persona, lavoro, ambiente”. Nel documento di orientamento congressuale, approvato dal nostro Consiglio generale e dal nostro Esecutivo, facciamo esplicito riferimento alla promozione di un cambio di visione sul tema della corretta gestione del patrimonio boschivo e sul modello di forestazione da adottare. Quello che serve è un modello che può e deve generare ricchezza, occupazione e ricadute positive assai rilevanti sull’ambiente e su diverse filiere produttive.
Il tema è di grande attualità, anche in considerazione del fatto che la superficie boschiva, nel nostro Paese, non è in diminuzione, ma in costante aumento da trent’anni. È necessario che la grande disponibilità di questa risorsa, anziché essere lasciata all’incuria, come avviene da almeno quattro decenni in Italia, a differenza di altri Paesi europei, venga governata affinché produca gli effetti ambientali ed economici che è lecito attendersi in tutto il territorio nazionale. Obiettivo che la Fai Cisl, in qualità di sindacato del lavoro agroalimentare e ambientale, ha da sempre perseguito, non ultimo attraverso il proprio Manifesto per la Montagna, cui proponiamo che la forestazione diventi una leva importante per generare lavoro, soprattutto nelle aree interne e svantaggiate, per creare sistemi economici sostenibili, per mettere in sicurezza i versanti più esposti all’azione erosiva degli agenti atmosferici, sempre più violenti a causa dei cambiamenti climatici, per produrre e distribuire ricchezza e benessere.
Alla più tradizionale forestazione protettiva, va legata evidentemente la cosiddetta forestazione “produttiva”. Che non vuol dire affatto mercificare l’ambiente, ma al contrario valorizzarlo con la creazione di nuove filiere rispondendo ai fabbisogni della produzione di energia pulita, della bioeconomia, dell’industria manifatturiera di trasformazione. Gli stessi incendi che questa estate hanno flagellato tanti territori italiani, distruggendo un patrimonio straordinario di biodiversità ed emettendo anidride carbonica in quantità incalcolabile nell’atmosfera, rappresentano una dura lezione di cui avremmo potuto fare a meno, e sono la prova di cosa comporti l’abbandono dei boschi e delle foreste. Per seguire veramente la strategia europea sulla biodiversità, inoltre, dobbiamo puntare a nuove piantumazioni e accordi di filiera per valorizzare i nostri vivai, creare nuova bellezza, qualità dell’aria, e contenere i cambiamenti climatici.
In questa sfida, il sindacato c’è e ci sarà. E un primo impegno che porteremo a termine è proprio il rinnovo del contratto nazionale degli operai idraulico forestali, un traguardo atteso da dieci anni e giunto finalmente alla fase conclusiva, dopo una nostra grande battaglia per ricostituire un tavolo di trattativa e richiamare tutte le parti alle loro responsabilità.
Perché questo serve per salvare il pianeta: responsabilità, scelte condivise, azioni concrete e ben pianificate. E soprattutto, proposte per compiere una transizione ecologica che non lasci indietro nessuno, e che dunque sappiano puntare su green jobs e rural economy, anche per ricollocare i tanti lavoratori che rischiano di uscire da posizioni occupazionali rese obsolete dalle trasformazioni tecnologiche e dalla necessità di abbandonare i combustibili fossili e le industrie connesse. Come ha detto il primo ministro britannico, Boris Johnson, “l’orologio dell’apocalisse ticchetta sempre più forte e segna un minuto a mezzanotte”. Vedremo, alla fine di questa nuova conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, se sarà stato l’ennesimo slogan per impressionare i giornalisti, o se a queste parole seguirà un impegno concreto per far convergere tutti i Paesi verso scelte concrete.
Onofrio Rota, Segretario Generale Fai Cisl