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Contrattazione sindacale: un principio irrinunciabile

C’è chi si stupisce del rapporto collaborativo tra Giorgia Meloni e la Cisl, ma a ben vedere, si tratta di un esito naturale, inevitabile. Alcuni attribuiscono questa sintonia solo all’attenzione riservata dal governo alla regolazione dell’articolo 46 della Costituzione, sulla scia della raccolta firme promossa dalla Confederazione di via Po per la partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa. Tuttavia, le convergenze tra l’esecutivo e il sindacato di via Po vanno ben oltre questo singolo punto e affondano le radici in molte scelte politiche e sociali che hanno caratterizzato la legislatura sin dal suo esordio.

Basti pensare alle manovre di bilancio, che hanno posto al centro la condizione fiscale dei lavoratori medio-bassi, privilegiando questa storica necessità rispetto ad altre urgenze di governo. Una scelta non banale, che ha incontrato il favore della Cisl, da sempre attenta alla tutela del reddito reale dei lavoratori. Il taglio del cuneo fiscale e la riduzione della tassazione sulle buste paga, con la detassazione dei premi di produttività dal 10 al 5%, rappresentano due interventi che hanno riscosso il plauso del sindacato guidato da Luigi Sbarra.

Un altro terreno di convergenza è stato il salario minimo per legge. La Cisl ha sempre manifestato una posizione critica nei confronti di questa misura, ritenendola un potenziale cavallo di Troia per indebolire la contrattazione collettiva, e il governo ha condiviso questa impostazione, opponendosi fermamente all’introduzione di un salario minimo stabilito per legge. In questa visione, la centralità del ruolo della contrattazione sindacale è un principio irrinunciabile, e l’esecutivo ha scelto di muoversi su questa linea, rafforzando il peso delle parti sociali nella definizione delle condizioni salariali.

Non sorprende, dunque, che la collaborazione tra Meloni e la Cisl si sia consolidata su questi temi. Ma l’aspetto politico di questa dinamica non può essere ignorato. Ogni qualvolta la sinistra si trova in difficoltà sul piano sociale, si aggrappa alla Cgil, che puntualmente risponde con un irrigidimento delle proprie posizioni, agitandosi su un fronte conservatore che mal si sposa con le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro. Un copione già visto, che si è riproposto recentemente con la questione del referendum sul Jobs Act. In questo scenario, la Cisl si è trovata nuovamente in una posizione di equilibrio: gelosa della propria autonomia contrattuale, si è sempre sottratta alle logiche di uno schieramento politico precostituito, privilegiando il pragmatismo della trattativa rispetto all’intransigenza ideologica. È un atteggiamento che ha contraddistinto il sindacato fin dalla sua nascita e che continua a orientarne l’azione anche oggi. Ogni volta che la Cgil si arrocca su posizioni di chiusura, la Cisl si sente assediata e reagisce intensificando il dialogo, ma siglando accordi sindacali e non politici.

Resta da chiedersi: perché i partiti non tornano a fare i partiti e i sindacati non tornano a fare i sindacati? In questi tempi di grandi cambiamenti per raggiungere innovazioni necessarie per il passaggio dal vecchio al nuovo, lo sforzo principale è sempre quello di superare le umane resistenze al nuovo. Si ha paura di perdere lo spazio conosciuto ed il nuovo si presenta minaccioso. Ed è proprio l’apertura mentale e la cooperazione che possono costituire gli elementi per traghettare al nuovo ammortizzando i costi dell’abbandono del vecchio. Ed infatti, l’attuale difficoltà a ottenere competenze in grado di usare le nuove tecnologie nelle produzioni deriva dal disinteresse a fare i conti con i fabbisogni formativi e dall’arretratezza dei luoghi di istruzione e formazione. La denuncia della precarietà non spinge a costruire un nuovo welfare, nuove garanzie contrattuali e nuove frontiere della produttività legata al salario, ma ricorrendo alla resistenza dei vecchi istituti contrattuali e delle garanzie sociali. Ed allora chi ritiene che non si collabora con tutti i governi, a che gioco giocano? Non è così che si fanno gli interessi dei lavoratori. Gli accordi si fanno trovando punti di incontro, non mettendo le dita negli occhi ai governi ritenuti nemici.

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