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Conti correnti sempre più cari: tutto ciò che bisogna sapere

Nell’insieme dei rincari che si sono visti nel 2022 poteva mancare il conto corrente? Sì, le analisi effettuate da Banca d’Italia e da Milano Finanza hanno mostrato un rialzo medio del 7% rispetto all’anno prima e, ovviamente, questo è un aumento che farà storcere il naso a molti perché “alla banca portiamo soldi e questa ci fa anche pagare” che è l’obiezione che ogni bancario ha sentito almeno una volta da parte non solo della clientela ma anche da amici e parenti ai quali, contrariamente a quanto dicono tanti in filiale ai neoassunti, sarebbe il caso di non avere mai come cliente, proprio per evitare discussioni, anche animate, su questi argomenti. Se all’aumento, poi, fosse unito il rendimento nullo o quasi delle cifre depositate ecco che il quadro per aizzare una polemica senza fine sarebbe completo. Alt! Quest’ultima finisce qui perché gli aumenti dei canoni non sono certo effettuati senza un’analisi a monte e una motivazione precisa che è la sostenibilità del prodotto.

Iniziamo con il dire che la banca non sia un ente benefico ma una società a scopo di lucro, spesso anche quotata in borsa, che deve remunerare i collaboratori e i soci, cosa che può avvenire solo con un risultato positivo in bilancio. Semplificando al massimo, il “fatturato” di un istituto di credito è dato dal margine di interesse, che è la remunerazione sui prestiti al netto delle rettifiche sui crediti concessi, e le commissioni nette che non c’è bisogno di spiegare cosa siano; questi due valori, sommati a dividendi e ai ricavi netti per servizi, profitti e perdite da operazioni finanziarie, danno il margine di intermediazione che è il valore generato dall’attività bancaria.

Negli ultimi anni, con i tassi schiantati, il margine di interesse era estremamente compresso e per generare componenti positive di reddito le banche commerciali hanno dovuto puntare molto sulle commissioni nette, quindi sistemi di pagamento, investimenti e intermediazione assicurativa ma queste ultime, vista la concorrenza esistente nel settore, ampliatasi anche per l’ingresso di operatori esteri e delle cosiddette fintech, c’è stata una corsa al ribasso che ha obbligato ad aumentare i prodotti piazzati alla clientela, soprattutto tra polizze danni e investimenti, puntando quindi su PAC, per avere un incasso costante nel tempo, e polizze vita di ramo primo o terzo che sono le classiche polizze da investimento.

Allora perché l’aumento se con i tassi in crescita il margine di interesse dovrebbe essere destinato ad aumentare e le commissioni sono sostenute da un’attività commerciale continua? La risposta potrebbe essere meno scontata di quanto si creda. Da un lato c’è una certa saturazione del mercato che non permette di spingere più di tanto su nuovi cliente ma che è indirizzata a portarli via dai concorrenti, quindi offrendo loro delle condizioni più convenienti, esattamente come succede nel campo della telefonia, ad esempio, e dall’altro c’è la situazione reddituale italiana che è quella che è e che non permette grandi spazi di manovra sulle vendite in aggregato ma, soprattutto, genera un rischio non indifferente di tenuta in caso di rialzo dei tassi. Questo è un punto chiave.

Dopo anni di tassi nulli o negativi si è vista una certa crescita del credito poiché le rate di mutui e prestiti personali erano assai convenienti ma l’aumento dei tassi rischia di portare alcuni finanziamenti in essere a tasso fisso in ammortamento negativo, cioè con una remunerazione inferiore al tasso di riferimento della banca centrale, e di spingere altri nel campo dei crediti deteriorati, dovendo, in quel caso, aumentare le riserve a copertura dei rischi, cosa che rappresenta un costo non indifferente. In più si deve tener conto che le abitudini del correntista medio siano cambiate, con un minor ricorso alla filiale, quindi minori possibilità commerciali dirette, e con un aumento però dei servizi richiesti, dall’home banking alle carte di pagamento, ai dati necessari per le attività fiscali, eccetera. Tutto questo ha un costo ed è assai rilevante. Per coprirlo ecco che il prodotto centrale e più diffuso, il conto corrente, passa da quello che è il contratto tipico che molti hanno studiato in diritto privato a un pacchetto di servizi che vedono il conto solo come base su cui essere costruito.

Ecco quindi che il vecchio conto famiglia che comprendeva il conto, appunto, uno o due bancomat, l’accesso al portale internet da cui fare le operazioni basilari (interrogazioni, bonifici, pagamento imposte principalmente) e qualche sconto su altri prodotti come il deposito titoli e la cassetta di sicurezza diventa un prodotto organico che permette a chiunque di avere uno sportello bancario completo sempre a propria disposizione e tutto questo ha un costo che va coperto.

Si aggiunga che con il rinnovo contrattuale per i dipendenti di banca è credibile che il costo del lavoro possa salire molto di più degli 80 euro medi al mese dell’ultimo CCNL per poter recuperare almeno la perdita di valore dei salari che negli ultimi 10 anni per la categoria è stata assai cospicua, contrariamente al comune sentire e agli stipendi dichiarati del top management (talvolta meritati e talvolta no ma questo è un altro discorso), ed ecco che la previsione di aumento si inserisce in una strategia di stabilizzazione della struttura finanziaria di quegli istituti che rappresentano la cinghia di trasmissione dell’economia e che, salvo alcuni scandali degli ultimi anni, hanno rappresentato l’ancora nella tempesta finanziaria che avrebbe potuto piegare tutto il sistema industriale italiano.

Il problema, quindi, non è tanto l’aumento nominale dei costi ma l’analisi di quanto valga il pacchetto proposto (a volte molto di più del prezzo attuale) e quanto questo possa essere utile o opportuno per ciascun sottoscrittore che deve valutare se convenga mantenere quel rapporto o cambiarlo: attenzione, però, che la valutazione non può essere fatta solo con criteri quantitativi ma, soprattutto, qualitativi perché a volte una banca che costi un filo di più potrebbe essere quel partner finanziario realmente affidabile, rispetto magari a un’altra che ti attiri con un prodotto civetta, la cosiddetta killer application per usare il gergo del marketing, ma che, poi, ti considera solo un numero, quasi come se fossi il cliente di un supermercato.

Matteo Gianola: