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Concilio Vaticano II e Fratelli tutti: il fulcro è la parabola del buon Samaritano

L’8 dicembre 1965 si chiudeva il Concilio ecumenico Vaticano II, convocato da San Giovanni XXIII e aperto l’11 ottobre 1962. Per più di tre anni, tremila vescovi cattolici hanno lavorato intensamente per “aggiornare” il modo di essere della Chiesa. L’obiettivo era però quello di sempre: nelle intenzioni di Papa Roncalli, il Concilio avrebbe dovuto rappresentare una “Novella Pentecoste” per riprendere con maggior vigore, liberata da scorie accumulate nel tempo, l’annuncio del Vangelo in un mondo che stava cambiando rapidamente.

Alla fine di quella grande assise, San Paolo VI sintetizzò il percorso di quei tre anni con queste parole: “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso”. La figura del buon Samaritano è anche al centro dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti: “Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano”.

Non è una coincidenza casuale. La formazione di Jorge Bergoglio è avvenuta negli anni del Concilio e Francesco è il primo papa ordinato sacerdote dopo la conclusione del Vaticano II. Tutto il suo servizio alla Chiesa si è svolto mente questa era impegnata – come lo è ancora – nello sforzo di accogliere e attuare questo grande evento della sua storia recente. La religione del Concilio, diceva Paolo VI cinquantacinque anni fa, è “stata principalmente la carità” e l’attuale pontefice si muove sulla stessa linea. C’è proprio il Vaticano II all’origine di questa scelta che non contraddice il percorso precedente della Chiesa ma lo continua nei modi che sono propri del nostro tempo.

Affermò Paolo VI che nessuno poteva rimproverare al Concilio “d’irreligiosità o d’infedeltà al Vangelo per tale precipuo orientamento, quando ricordiamo che è Cristo stesso ad insegnarci essere la dilezione ai fratelli il carattere distintivo dei suoi discepoli (cfr. Io. 13, 35), e quando lasciamo risuonare ai nostri animi le parole, apostoliche: «La religione pura e immacolata, agli occhi di Dio e del Padre, è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni e conservarsi puri da questo mondo» (Iac. 1, 27); e ancora: «chi non ama il proprio fratello, che egli vede, come può amare Dio, che egli non vede»? (1 Io. 4, 20)”.

Con il Concilio, la Chiesa cattolica ha cominciato ad entrare in quella che Papa Francesco ha definito non un cambiamento d’epoca ma un’epoca di cambiamento. Non un semplice passaggio generazionale ma uno sconvolgimento più vasto e più profondo. Quando avvengono tali sconvolgimenti, bisogna lasciare le strutture istituzionali, culturali, sociali consolidate nei secoli e uscire in mare aperto, scegliendo bene la bussola cui affidarsi. La Chiesa ha scelto di affidarsi al Vangelo, anzi a Cristo stesso, che è il Buon Samaritano. Qualcuno può avere nostalgia di costruzioni del passato, che hanno svolto indubbiamente funzioni importanti nel loro tempo. Ma rinchiudersi al loro interno quando l’umanità sta andando altrove significa privare gli uomini e le donne di oggi del Vangelo.

La carità infatti non porta con sé solo il pane di frumento ma anche quello della Parola. Il tempo in cui viviamo è segnato dal crollo della verticalità e delle gerarchie, dalla crisi della paternità e dell’autorità. Ciò coinvolge profondamente anche un linguaggio religioso modellato sul riferimento a ciò che è Alto, Assoluto, Eterno. Dal Concilio, perciò, la Chiesa ha cominciato a dialogare con il mondo contemporaneo, ma per proporre nel linguaggio di oggi il suo messaggio di sempre. Infatti, praticare la carità significa anche annunciare la verità, “visitare gli orfani e le vedove” vuol dire pure conservare una “religione pura”, favorire l’incontro con Cristo significa anche introdurre alla conoscenza del Padre. La “simpatia immensa” per gli uomini e le donne del nostro tempo, di cui parlava Paolo VI, come pure “la misericordia” cui si ispira Papa Francesco non costituiscono un cedimento al mondo ma il modo in cui oggi la Chiesa trasmette la Rivelazione che ha ricevuto.

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