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Con la democrazia ci vuole pazienza

L’elezione del Presidente della Repubblica rappresenta il momento più alto dell’ordinamento repubblicano. Al di là dei meccanismi procedurali e delle schermaglie politiche – che tanta attenzione suscitano nel dibattito giornalistico – si tratta infatti di un passaggio fondamentale nella vita del Paese, perché profondamente espressivo della nostra forma di stato democratica e repubblicana.

Che il Presidente sia eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, corrisponde a una ben precisa scelta dei Costituenti, i quali vollero scongiurare il rischio che a un’elezione diretta da parte del corpo elettorale corrispondesse una deriva plebiscitaria, tale da mettere in crisi la forma di governo parlamentare. Vivida, nelle loro menti, non solo la tragica esperienza del Ventennio fascista, ma anche il fallimento della Costituzione di Weimar, la cui degenerazione aveva aperto la strada al nazismo.

Se, dunque, il Presidente della Repubblica deve essere eletto dal Parlamento in seduta comune, ciò impone il raggiungimento di un vasto consenso all’interno del panorama politico. I quorum prescritti dall’art. 83 della Costituzione (maggioranza di due terzi, assoluta dopo il terzo scrutinio) mirano proprio ad agevolare un ampio accordo tra i partiti.

Non ci si deve stupire, allora, che le elezioni presidenziali si protraggano per più giorni. Come ricordato da numerosi studiosi, nella storia repubblicana i Presidenti sono stati eletti in media al nono scrutinio: soltanto Cossiga nel 1985 e Ciampi nel 1999 vennero eletti al primo; quattro volte sono state necessarie quattro votazioni (Einaudi nel 1948, Gronchi nel 1955, Napolitano nel 2006 e Mattarella nel 2015); ce ne vollero sei per la rielezione di Napolitano (2013), nove per eleggere Segni (1962), sedici per Pertini (1978) e Scalfaro (1992), ventuno per Saragat (1964) e addirittura ventitré per Leone (1971). Nessuna drammatizzazione, dunque, se ancora oggi non si è raggiunta la tanto agognata “fumata bianca”.

In una fase storica nella quale le nostre vite sono misurate secondo le logiche meramente economiche dell’efficienza, alcuni potrebbero ritenere che il sistema costituzionale dell’elezione presidenziale rappresenti una lungaggine insopportabile. Al contrario, pur stigmatizzando i personalismi e i tatticismi fini a sé stessi, l’esperienza ci insegna che il metodo del confronto e del dialogo tra le diverse anime politiche che rappresentano il popolo in Parlamento non è altro che il metodo della ragione, della tolleranza e, in ultima analisi, della democrazia stessa. Con la democrazia ci vuole pazienza.

Marco Betzu, Professore di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari

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