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Il compito del sindacato per fronteggiare e denunciare la violenza di genere

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’ONU nel 1999 e celebrata ogni anno il 25 novembre, serve a ricordarci che la violenza di genere è purtroppo ancora una realtà diffusa da combattere, e che la strada da percorrere è ancora lunga. Dal 1 gennaio al 7 novembre di quest’anno in Italia sono stati registrati 247 omicidi, con 103 vittime donne (una ogni tre giorni), di cui 87 uccise in ambito familiare o affettivo. Di queste, 60 sono morte per mano per mano del partner o dell’ex partner. Ogni giorno 89 donne sono vittime di reati di genere. Sono dati drammatici, su cui tutti siamo chiamati a riflettere e ad agire.

Le molestie, i ricatti e le altre forme di intimidazioni nei confronti delle donne sono un fenomeno molto più diffuso di quanto non si pensi. Tante le vittime di cui non si parla, migliaia di donne senza un volto che hanno subito nel corso della vita forme gravi di violenza, soprusi, discriminazioni. Secondo la relazione appena approvata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio nessuna delle donne uccise nel 2017-2018 aveva mai confidato a qualcuno di essere in difficoltà, di temere per la propria incolumità, di subire maltrattamenti. Troppa la paura, anche nei confronti di una società e di istituzioni ritenute a buona ragione “maschiliste”.

Se si è donne è ancora molto complicato far rispettare i propri diritti in tutti i contesti: sociali, lavorativi e familiari. Sappiamo bene che il lavoro rimane la prima forma di emancipazione e riscatto, ma gli investimenti non sono sufficienti: mancano strumenti di protezione e assistenza per un concreto reinserimento socio-lavorativo di chi è vittima di soprusi. I ritardi rispetto agli altri paesi europei sono siderali, nonostante in Italia ci siano più donne laureate rispetto agli uomini.

Gli sgravi fiscali specifici per favorire le assunzioni di lavoratrici, soprattutto nel Sud, sono troppo deboli, non si fa abbastanza per il sostegno alla maternità ed al lavoro di cura, scarseggiano gli asili nido, i servizi socio-assistenziali, i centri di ascolto. La violenza si annida spesso nelle frustrazioni di una precarietà infinita, nel divario salariale tra uomini e donne, dei part-time involontari, nel sovraccarico di lavoro domestico. Le discriminazioni di genere, il mobbing, il sessismo sono spesso l’anticamera di fenomeni di degenerazione gravi.

Ecco perché spetta anche al sindacato fronteggiare e denunciare queste forme di violenza, continuando e rafforzando la nostra opera quotidiana, attraverso la contrattazione nazionale ed aziendale e con la rete dei servizi sui territori, per un cambiamento sociale e culturale che metta al centro la tutela della persona, a partire dai luoghi di lavoro. Non bisogna avere tentennamenti nei confronti di chi maltratta ed umilia le donne come avviene, per esempio, a tante ragazze straniere costrette a prostituirsi o alle braccianti, italiane e straniere, vittime del caporalato, ridotte a lavorare spesso in condizioni disumane di sfruttamento.

Bisogna migliorare i processi educativi, spiegare fin dall’infanzia che il rispetto reciproco tra uomini e donne è il fondamento di una comunità. Questo è uno dei compiti che la scuola italiana deve assumere come una priorità, coinvolgendo in questa azione pedagogica le espressioni migliori della società. E’ una questione di civiltà. Bisogna saper costruire le condizioni per una alleanza vera tra le istituzioni, la società civile, le associazioni, la scuola, l’università, il mondo dell’informazione. Ciascuno deve fare la sua parte nella battaglia contro i femminicidi ed ogni forma di violenza, unendo uomini e donne per una giusta causa, facendo nostro l’invito di Papa Francesco a batterci contro ogni intimidazione, per la libertà e la piena dignità di tutte le donne.

Luigi Sbarra, Segretario Generale Cisl

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