Quando, già nel 2000, iniziammo, con colleghi ed amici, ad indagare sul mondo virtuale, ebbi a sottolineare che il nostro immaginario, le nostre relazioni umane e sentimentali ma, soprattutto, quelle dei nostri figli, avrebbero potuto diventare ostaggi del mondo virtuale. (“Chat ti amo” – M. R. Parsi, E. Di Ruzza, R. Rizzo- Giunti, 2000 e “L’immaginario prigioniero- M.R. Parsi, T. Cantelmi, F. Orlando- Mondadori 2009)
Poi, nel 2017, nuovamente e ancor più, ho denunciato questa prigionia nel mio libro “Generazione H” (Mondadori), laddove “H” sta per “Hikikomori”, parola giapponese che significa “ritirati”. E, infatti, proprio in Giappone, con questa parola, lo psicologo Tamaki Saito, già nella seconda metà degli anni 80, indicava i giovani che, a motivo dell’estrema severità e selettività della scuola giapponese, rifiutavano di andarci e si chiudevano nella loro stanza come in una prigione dalla quale scegliere di non uscire. E, in seguito, questo rifiuto, con l’avvento massiccio ed invasivo del mondo virtuale, divenne, poi, un isolamento dal quale, connettendosi, il web consentiva di uscire pur rimanendo chiusi in casa.
Ora, secondo il rapporto “We are social”2024, noi passiamo l’equivalente di tre mesi di vita davanti allo schermo del cellulare. Ovvero, in media, passiamo “349 minuti al giorno con il cellulare, circa 41 ore alla settimana, per un totale di sette giorni al mese. E, dunque, 12 settimane all’anno!”. E questa “virtual immersion” non è soltanto dei “nativi digitali”, nostri figli e nipoti, ma anche di quegli adulti – genitori e non – che hanno consegnato questa eccezionale ma, al contempo, lesiva e, perfino, letale arma di comunicazione, partecipazione, espressione, documentazione, formazione rappresentata dal mondo virtuale, senza regole adeguate da dare a se stessi e da fornire come esempio e limite proprio ai minori. Poiché utilizzare il mondo virtuale senza correre il rischio di diventarne dipendenti (vedi Internet addiction) significa possedere le necessarie competenze per gestirlo, rispettando se stessi e gli altri e non farne, all’occasione, un uso distorto, pericoloso, pervasivo, persecutorio, volgare, illegale. Anche, poi e soprattutto, per trarne un sistematico guadagno!
E, nel caso dei minori, è per loro necessario essere costantemente formati e monitorati dagli adulti: genitori, insegnanti, educatori, operatori della comunicazione, della salute mentale, della polizia postale affinché possano evitare di cadere in equivoci adescamenti prostitutivi, in condizionamenti, in false comunicazioni, in trappole pedopornografiche, in sottrazioni e in ricatti economici ecc… Infatti, per uscire dalla dipendenza indotta dagli aspetti più pericolosi ed illegali del mondo virtuale, è necessario ribadire quel che nella “Carta di Alba” del 2009, come Movimento Bambino, già segnalammo con fermezza estrema. Ovvero che debbono valere ed essere rispettate nel mondo virtuale le stesse regole e leggi che, con fatica, sacrifici, rivoluzioni, gli esseri umani, nei secoli, hanno conquistato. E che il modo migliore, se non l’unico modo per sfuggire all’estrema dipendenza indotta dal mondo virtuale, è educare chi cresce a gestirlo correttamente, sin dall’infanzia. Ovvero educare e preparare le persone in crescita, dal nido all’Università, ad “un uso virtuoso del virtuale”. Ma, per far questo, bisogna porre agli adulti, anche e soprattutto attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione di massa come le televisioni pubbliche e private, l’obbligo di informare e formare costantemente il pubblico degli utenti in merito alle gravi responsabilità che potrebbero derivare proprio dall’ “Effetto Scia” del super controllo e del super utilizzo del virtuale su ogni passaggio, individuale e collettivo, della nostra vita.
L’articolo a firma della professoressa Maria Rita Parsi è stato pubblicato su “Il Tempo”