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Come la politica estera influisce sulla campagna elettorale degli Usa

Le centinaia di missili e droni lanciati dall’Iran contro Israele vengono quasi tutti intercettati e fanno danni limitati; ma s’abbattono, invece, e sono devastanti, sulla campagna elettorale per Usa 2024. Alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden annulla tutti i programmi del fine settimana e segue quasi in diretta gli eventi che possono incendiare il Mondo dalla Situation Room: con lui, ci sono il team della sicurezza nazionale, il segretario di Stato Antony Blinken, il capo del Pentagono Lloyd Austin e i vertici militari; la vice Kamala Harris è collegata in video.

Invece, l’ex presidente Donald Trump, candidato “in pectore” alla nomination repubblicana, prima scrive sul suo social Truth; “Israele è sotto attacco. Con me presidente non sarebbe mai successo”; poi, fa un discorso a un comizio in Pennsylvania, come da programma, e critica il rivale: “L’attacco dell’Iran contro Israele è segno della debolezza degli Stati Uniti guidati da Biden”. Trump, cioè, cerca di trarre vantaggio dalla situazione per mettere in difficoltà il presidente: altro che sostenerlo, nel segno della sicurezza nazionale.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza e il botta e risposta tra Israele e Iran: per il Washington post, segnano “un drammatico allineamento tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord”, con il minimo comune denominatore politico della ricerca d’un nuovo ordine mondiale alternativo, ma anche con reciproci sostegni militari ed economici: Pechino, Teheran e Pyongyank non applicano sanzioni contro Mosca; e i droni iraniani lanciati contro Israele sono gli stessi che la Russia ogni notte lancia contro l’Ucraina, che non ha, o non ha più, i mezzi per difendersene, perché Washington da sei mesi non le fornisce armamenti.

C’è, per contro, “un pericoloso disallineamento” nella politica estera degli Stati Uniti, tra Biden e Trump, tra democratici e repubblicani. Eppure, l’ondata di missili e droni iraniani, insolitamente annunciata alla partenza e non a cose fatte dall’agenzia iraniana Irna, tiene il mondo intero con il fiato sospeso e fa schizzare in alto il rischio di un allargamento del conflitto. Missili e droni non partono solo dall’Iran, ma anche da Yemen, Libano, Siria e Iraq, dove operano milizie che rispondono a Teheran.

Israele ha difese anti-aeree efficaci contro missili e droni – questi ultimi, se lanciati dall’Iran, impiegano ore a giungere sui loro obiettivi e lasciano quindi un tempo di reazione sufficiente -. Ma c’era l’eventualità che un attacco così massiccio potesse “bucare” le difese, nonostante Israele fosse da due settimane in stato d’allarme.

Per questo, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia contribuiscono a intercettare gli ordigni iraniani; e anche la Giordania protegge il proprio spazio aereo. A conti fatti, l’impatto dell’attacco è minimo. “Li abbiamo respinti: insieme vinceremo”, commenta il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Biden, nonostante i loro rapporti siano pessimi, gli telefona: i due parlano 25 minuti. Il presidente manifesta l’incrollabile sostegno degli Usa a Israele, ma avverte il premier di non essere favorevole a un contrattacco contro Teheran; se ci fosse, Israele non potrebbe contare sul supporto diplomatico e militare americano.

Nella campagna elettorale per Usa 2024, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente sono due handicap per Biden, che non riesce a farle finire, e dei bonus per Trump, che promette di farle finire, senza mai dire come, e che millanta che con lui non sarebbero mai cominciate, senza mai spiegare perché.

Più di altre volte, in Usa 2024 c’è spazio per la politica estera. Biden punta sul sostegno all’Ucraina, per cui i repubblicani gli negano gli aiuti, e critica – fin qui sterilmente – Israele per le stragi di civili a Gaza. Il presidente sconta una certa stanchezza dell’opinione pubblica sull’Ucraina e la delusione di arabo-americani e giovani sul Medio Oriente. Trump dice che la guerra in Ucraina finirà il giorno dopo che sarà presidente, mentre l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e contro l’Iran ha il suo piano avallo.

A Mosca, Vladimir Putin, che ha appena avuto l’ennesimo mandato presidenziale, e a Gerusalemme Benjamin Netanyahu lo aspettano come una manna. Invece, l’Europa ne teme il ritorno: al Trump 2, che nega l’aiuto agli alleati ‘morosi’, la Nato potrebbe non sopravvivere. Dopo averlo intervistato, nella sua nuova veste giornalistica, Nigel Farage, il padre della Brexit, ‘trumpiano’ convinto, dice che l’ex presidente “odia l’Ue così tanto da farmi apparire un ‘eurofilo’; e ne predice la vittoria: “Sarà una grande cosa”.

A Bruxelles, sponda Nato e sponda Ue, non la pensano così. Ma c’è chi fa il doppio gioco: Trump, di questi tempi, chiama a raccolta amici e alleati, riceve nella sua dimora di Mar-a-lago in Florida Viktor Orban, premier ungherese, e il figlio del suo emulo brasiliano Jair Messias Bolsonaro – il padre, cui è stato sequestrato il passaporto, non può uscire dal Paese; chiama al telefono l’uomo forte saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman; ha come emissario in Europa alle convention dei conservatori il suo ex guru Steven Bannon.

Fra i repubblicani della Camera circolano, per ammissione di loro esponenti di alto rango, messaggi “filo–russi” e sono diffuse posizioni filo-israeliane oltranziste. Ma Jason Miller, un consigliere della campagna di Trump, liquida come “fake news” un piano di pace del magnate per l’Ucraina riferito dal Washington Post, con la cessione a Mosca da parte di Kiev della Crimea e del Donbass. Miller puntualizza che Trump non definirà un piano di pace finché non sarà in carica e non potrà valutare a fondo tutte le opzioni. E aggiunge: “Trump è l’unico a parlare di fermare le uccisioni, Biden parla di ulteriori uccisioni”.

Sul conflitto in Medio Oriente, l’ex presidente polemizza direttamente con il suo successore: dice, esagerando, che Biden è “al 100%” dalla parte dei palestinesi. “Chiunque vota per lui non ama Israele e francamente bisognerebbe chiedergli: come può un ebreo votare Biden o un democratico visto che sono al 100% dalla parte dei palestinesi?”. Intervistato da un’emittente conservatrice, Trump sembra non capacitarsi: “E’ incredibile che storicamente gli ebrei votino democratico… Non lo capisco… Sono stato di gran lunga il più filo-israeliano di qualsiasi altro presidente” Usa.

Quanto al piano di pace controverso sull’Ucraina, esso, secondo il Washington Post, consiste nell’indurre l’Ucraina a lasciare alla Russia la Crimea e la regione di confine del Donbass, attualmente occupata e annessa. Per le fonti del giornale, l’ex presidente considera che sia l’Ucraina sia la Russia “vogliano salvare la faccia e avere una via di uscita”, anche se la pace ‘alla Trump’ pare sostanzialmente una vittoria per i russi. L’ex presidente è convinto che gli abitanti di alcune province ucraine preferiscano essere russi.

Affermazioni che trovano conferma nei ricordi della sua ex consigliera Fiona Hill in un nuovo libro sulla sicurezza nazionale statunitense minacciata da Russia e Cina: quand’era presidente, Trump “mise in chiaro” che secondo lui l’Ucraina, e certamente la Crimea,“deve fare parte della Russia”. Hill, responsabile per gli affari europei e russi nel Consiglio di sicurezza nazionale Usa tra il 2017 e il 2019, parla a David Sanger Hill, giornalista del New York Times, autore di ‘New Cold Wars: China’s Rise, Russia’s Invasion, and America’s Struggle to Defend the West: il presidente “non riusciva davvero a capacitarsi dell’idea che l’Ucraina fosse uno Stato indipendente”.

All’idea di pace di Trump, lontana dalla “pace giusta” di cui parla l’Amministrazione Biden, si pone in antitesi un editoriale del New York Times, per cui l’Ucraina sta difendendo “la sua democrazia e il suo territorio dalla Russia” e ha bisogno degli Usa. L’editoriale esorta lo speaker della Camera Mike Johnson, che è una marionetta di Trump, ad agire e a sbloccare gli aiuti: se la Russia “imporrà la sua volontà all’Ucraina, la credibilità e la leadership americana subiranno un duro colpo”. Ma questo è, in fondo, quel che il magnate vuole: uno smacco per Biden, più che una vittoria per Putin.

Per il NYT, Trump e i “suoi seguaci possono sostenere che la sicurezza dell’Ucraina, o addirittura dell’Europa, non è un problema degli Stati Uniti”. Ma una vittoria della Russia in Ucraina avrebbe come conseguenza un Mondo in cui i sistemi autoritari “si sentono liberi di spegnere il dissenso e occupare territori…. Questa è una minaccia alla sicurezza dell’America e del Mondo”.

La politica statunitense fatica ad allungare lo sguardo oltre i muri e degli steccati di casa propria. Conta solo l’esito delle presidenziali, restando passivi ad assistere “al drammatico allineamento tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord”.

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