In una società che sembra essere sempre più profondamente segnata dall’emergere di fragilità sociali inedite, il valore della prossimità ai membri più fragili delle nostre comunità assume una valenza ancora più grande da cui, nessun cittadino, può in alcun modo prescindere. In particolare, la quotidianità di ognuno di noi e le rispettive relazioni sociali, sono lambite da caratteristiche e strutture che, con grande velocità, si disgregano e si ricompongono e, tutto ciò, accentua le vulnerabilità e ci richiama ad una risposta corale improntata all’empatia.
Per rispondere a queste nuove fragilità sociali, la cittadinanza nella sua globalità deve propendere verso un’etica della vulnerabilità. Infatti, la risposta ai bisogni emergenti, deve essere sviluppata attraverso lo spirito di fraternità, in grado di agire come leva di cambiamento sulle situazioni di ingiustizia che la determinano.
Rispondere ai bisogni emergenti deve essere un obiettivo di civiltà. La strada per raggiungere questo proposito deve essere fatta di gesti concreti e ben distribuiti ad ogni latitudine del nostro Paese. I legami di comunità devono essere posti a fondamento di un nuovo modello di welfare, che dovrà saper includere ogni situazione di marginalità e ogni range di età, senza escludere nessuno. Papa Francesco, nella sua ultima enciclica, significativamente intitolata “Dilexit Nos” – ossia “Ci ha amati” – ci esorta ad aprire il nostro cuore e ad avere compassione della terra ferita.
Questi due principi devono costituire un punto fermo da cui iniziare a gettare le basi per un futuro migliore e il punto cardine che guiderà le coscienze di tutti noi verso un autentico prendersi cura, da cui dovrà germogliare un nuovo seme di giustizia sociale, prossimità e pace di cui, tutti noi, abbiamo tremendamente bisogno.