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Come combattere la corruzione

La corruzione nel nostro Paese è una problematica largamente diffusa e nota benché, ai fini della effettiva grave incidenza del fenomeno, sarebbe opportuno che tutti fossero a conoscenza del tutt’altro che invidiabile primato che ci vede collocati, secondo l’ultima recente graduatoria di Transparency International sulla percezione del fenomeno, al primo posto degli Stati più corrotti tra quelli membri dell’Unione Europea.

La Germania, in questo singolare ranking stilato su base mondiale, è al dodicesimo posto; l’Inghilterra al quattordicesimo e la Francia al ventiseiesimo, ben lontane dal sessantanovesimo posto dell’Italia, posizionata dopo la Turchia, il Kuwait e la Repubblica del Sud-Africa, Paesi con i quali, con tutto il rispetto, il nostro non dovrebbe essere comparato.

La complessa qualificazione del fenomeno è rappresentata dalla pluralità dei fattori che lo determinano ed alimentano, tra i quali può essere annotata anche la crisi economicache da anni ci affligge benché la stessa, contrariamente a quanto da più parti sostenuto, non può essere collocata tra le prime cause. Invero, come la storia ci insegna, la questione ha una forte radice culturale risalente verosimilmente agli anni in cui il giovane Giovanni Giolitti, funzionario nel Ministero delle Finanze di Quintino Sella e futuro leader dell’Italia liberale dei primi del novecento, cominciò ad occuparsi, nel 1870, di effettuare un primo riordino del sistema amministrativo ed in particolare di quello fiscale.

Ecco quindi che gli scandali recenti, non costituiscono una novità, quanto piuttosto il rafforzamento della sfiducia degli italiani verso le istituzioni pubbliche e l’implementazione della percezione del problema, elemento quest’ultimo che, seppur privo di valenza scientifica in senso stretto, è emblematico della ormai inderogabile necessità di interventi oltre che legislativi soprattutto culturali, i quali possano consentire un’inversione di rotta.

Circoscrivendo l’analisi agli ultimi lustri, appare evidente come il sistema politico e civile, da Tangentopoli ad oggi, si sia mostrato sostanzialmente incapace di fronteggiare adeguatamente un fenomeno che ha assunto connotati di straordinaria gravità, avverso il quale l’approccio prevalentemente, se non esclusivamente, sanzionatorio che ha caratterizzato l’azione statale, si è dimostrato del tutto inadeguato a contrastare.
La lotta alla corruzione non può essere demandata unicamente alla magistratura in quanto – essendo le élites e le classi dirigenti null’altro che lo specchio della società che le produce – ciò che più risulta essere opportuno, e per alcuni versi urgente, è l’introduzione di giuste premesse sul piano culturale utili a contrastare una piaga che inevitabilmente condiziona anche il progresso economico.

A riprova si consideri che, secondo le stime del Centro studi Confindustria, se dopo “Mani pulite” l’Italia avesse ridotto la corruzione al livello della Francia, il Pil avrebbe fatto registrare un aumento di quasi 300 miliardi. In pratica, l’equivalente di una decina di manovre finanziarie.

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