Il recente e vile attentato di Strasburgo dello scorso 11 dicembre, il cui tragico bilancio è di sei morti e undici feriti, conferma che il terrorismo di matrice islamica è il nemico contro il quale dovremo combattere nei prossimi anni. Anche questa volta, come di recente è già accaduto, non è stato colpito un determinato “simbolo”, ma è risultata chiara la volontà di portare il terrore nelle nostre strade e nei luoghi di svago che abitualmente frequentiamo, colpendo “nel mucchio” la folla indistinta. Il proposito dell’attentatore di eliminare persone comuni, poco conta se bambini e anziani, altro non è che la raccapricciante evoluzione del nuovo corso della strategia del terrore inaugurato, se così si può dire, con gli attentati di Parigi del novembre 2015, volto a sconvolgere nel profondo la quotidianità, le abitudini e lo stile di vita di ognuno di noi.
Le analogie con i precedenti attentati che negli anni e nei mesi scorsi hanno colpito l’Europa tuttavia non si esauriscono qui. Secondo quanto si apprende dalle prime ricostruzioni da parte degli inquirenti, anche l’attacco di Strasburgo è stato condotto da un giovane che, non è ben chiaro a quale titolo e con quale ruolo, apparterrebbe a gruppi terroristici. Anche in questo caso, come in altri tristi precedenti, l’attentatore (Cherif Chekatt) si sarebbe radicalizzato in tempi piuttosto brevi. Sembra riproporsi, in altri termini, lo schema dei c.d. “lupi solitari”, soggetti figli di immigrati che vivono ai margini del consorzio sociale, spesso con precedenti penali per reati minori, che agiscono per una forte percezione di ingiustizia e un accentuato senso di isolamento e di emarginazione, nella malsana convinzione che l’unico sostegno può essere in chi invece li utilizza per i propri fini, offrendogli una falsa solidarietà. E’ la storia solo per restare agli ultimi episodi, di Mohamed Lahovajet-Bouhlel, il trentunenne con doppia cittadinanza, francese e tunisina, che a Nizza, nella centralissima e affollata Promenade Des Anglais, a bordo di un autocarro ha investito ed ucciso 86 persone ferendone altre 300. Ma è anche la narrazione della vita di Anis Amri, un tunisino da anni emigrato in Europa che il 19 dicembre 2016 in un mercatino natalizio di Berlino, alla guida di un tir, ha ucciso 12 persone ferendone una cinquantina.
E’ realistico supporre che tali individui mentalmente fragili, per l’esclusione di cui si sentono vittime incomprese, vogliano annientare la realtà in cui vivono e il modo spietato e violento con cui agiscono esprime le cifre del loro odio che arriva a obnubilarli al punto da perdere ogni rispetto per la vita umana, a partire dalla propria. L’allerta è massima non solo in Francia ma in tutta l’Europa che, per combattere efficacemente la guerra al terrore, è chiamata a svolgere un ruolo da protagonista. Non con le armi o con un esercito di cui non dispone, ma attraverso la riproposizione di quei valori su cui la stessa è stata costruita, primi fra tutti l’inclusione, l’accettazione delle diversità e la libertà. L’esigenza di garantire sicurezza senza rinunciare ai diritti che abbiamo duramente conquistato nel corso della nostra storia più o meno recente è di certo una delle sfide più importanti che attende l’Europa. La tutela della nostra civiltà non può, infatti, in alcun modo implicare una negazione dei valori che 'hanno ispirata e su cui la stessa fonda, ma presuppone una strenua ed ostinata difesa degli stessi.