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Come Aldo Moro partecipò al processo di integrazione europea

Nel secondo semestre del 1975, l’Italia esercitò la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’allora Comunità economica europea. Aldo Moro, all’epoca presidente del Consiglio italiano, indisse l’11 dicembre un Vertice europeo, che si svolse a Rambouillet in Francia. L’appuntamento fra i capi di Stato e di Governo dei nove Paesi Cee era un fatto eccezionale, non un rito che si ripete più volte ogni anno – come avviene ora -.

Moro, di cui oggi ricorre il 45° anniversario dell’uccisione ad opera delle Brigate rosse, volle mettere all’ordine del giorno del Vertice di Rambouillet l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, che fino ad allora era un’assemblea di secondo livello – ogni Parlamento nazionale vi designava, cioè, una propria delegazione -, senza grande potere.

L’Europa usciva dalla Conferenza di Helsinky (31 luglio – 1 agosto 1975), che aveva segnato l’avvio della distensione fra Usa e Urss, tra Alleanza atlantica e Patto di Varsavia e in cui Moro aveva avuto un ruolo attivo, sia come ministro degli Esteri nella fase di preparazione sia come presidente del Consiglio nella fase conclusiva.

La decisione dei leader dei Nove di dare alla Cee un Parlamento eletto rafforzava il processo d’integrazione europea: Moro era consapevole che un Parlamento democraticamente eletto avrebbe progressivamente rafforzato i propri poteri, come sta avvenendo nella realtà, anche se i tempi sono probabilmente più lenti di quanto il pur prudente statista pugliese potesse prevedere.

Diceva Moro: “Se non si avvicina il Parlamento europeo, con i suoi poteri e con le sue decisioni, alla volontà popolare, l’Europa non potrà mai decollare in maniera compiuta e totale”. Dopo Rambouillet, il presidente del Consiglio italiano si adoperò perché il Parlamento nazionale avallasse le decisioni prese in tempi brevi: esse entrarono in vigore il 1° luglio 1978.

Del decollo della Cee, con le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo avvenute all’inizio di giugno del 1979, Moro non fu però testimone: il 16 marzo 1978, le Brigate rosse l’avevano rapito, uccidendo i cinque uomini della sua scorta; e il 9 maggio l’avevano ucciso, toccando il culmine del loro attacco allo Stato. Il cadavere di Moro, adagiato nel vano portabagagli di una Renault rossa, fu lasciato in via Caetani, una strada che incrocia via delle Botteghe Oscure, dove c’era la sede del Pci, e non lontana da piazza del Gesù, dove c’era la sede della Dc: un ghigno di sberleffo, ad accompagnare un gesto di terrore.

Il passato europeo, se non proprio europeista e federalista, di Aldo Moro è quasi suggellato dall’essere il 9 maggio, il giorno della sua morte, anche la giornata dell’Europa, perché è l’anniversario della dichiarazione del 1950 con cui il ministro degli Esteri francese Robert Schuman espose l’idea di una nuova forma di collaborazione politica ed economica fra le nazioni europee, che avrebbe reso impensabile una guerra fra di loro.

La proposta di Schuman è l’atto di nascita del processo di integrazione europea e, in tempi brevi, condusse alla nascita nel 1954 della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la Ceca. Nel 1985, al Vertice di Milano – presidenza di turno italiana, presidente del Consiglio Bettino Craxi, ministro degli Esteri Giulio Andreotti –, i capi di Stato e di Governo di quelli che erano già divenuti i Dodici decisero di celebrare il 9 maggio la Giornata dell’Europa.

Però, 22 anni dopo, quando la Giornata dell’Europa s’era ormai radicata, una legge italiana, la 56 del 2007, scelse la stessa data come Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice: una scelta politica autoreferenziale, perché sarebbe stato – a mio avviso – più opportuno privilegiare la data del 16 marzo, invece di dare l’impressione che l’uccisione di un leader pesi di più di quella di cinque servitori dello Stato.

Qualche anno fa, poi, il Parlamento di Strasburgo ha dichiarato l’11 marzo la ‘Giornata europea delle vittime del terrorismo’, riconoscendo che ricordarne il sacrificio “è un impegno di civiltà ed è anche una salvaguardia per il futuro”. L’11 marzo è l’anniversario degli attentati sui treni a Madrid che nel 2004 causarono 192 morti e oltre 1500 feriti.

Nel rispetto dell’europeismo di Moro, e nel commosso ricordo di tutte le vittime del terrorismo, quale ne sia la matrice -, l’Italia potrebbe ora uscire dall’ambiguità del suo 9 maggio adottando come Giornata delle vittime del terrorismo l’11 marzo e lasciando il 9 maggio a ricordo dell’avvio del processo d’integrazione europea. Una soluzione di compromesso che, forse, sarebbe piaciuta anche a Moro, che fu maestro nel tessere accordi.

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