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Le cinque parole del Vangelo di oggi su cui riflettere

cultura

Foto di Mateus Campos Felipe su Unsplash

Il vangelo di questa sesta domenica di Pasqua è la continuazione di quello di domenica scorsa (“Io sono la vite e voi i tralci”). Siamo al capitolo 15 del vangelo di Giovanni. Si tratta della seconda delle tre ondate del discorso di addio durante l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli (cap. 13-14; 15-16; 17). Nel discorso di congedo di Gesù troviamo tutti i temi cari all’evangelista Giovanni. Questi capitoli (13-17) sono come la “magna carta” della vita cristiana, a cui bisognerebbe ritornare periodicamente per rileggere e ravvivare la nostra fede.

Vorrei soffermarmi su cinque parole/realtà che emergono dal brano del vangelo di oggi: Amore/amare, Comandamento/comandare, Padre, Amici e Gioia. Sono cinque “parole” che, in certo modo, riassumono la vita cristiana. Mi auguro che ognuno di noi, in un secondo momento, possa soffermarsi su quella parola che percepiamo nel nostro cuore, per un tocco dello Spirito, essere rivolta personalmente a noi.

L’amore di Agape

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. La parola d’ordine di domenica scorsa era “rimanere”. Quella di quest’oggi è amore/amare, che troviamo ben 19 volte nelle letture (9 nel vangelo, 9 nella seconda lettura e 1 nel salmo) e più di una trentina di volte nella bocca di Gesù nel suo discorso di congedo. Nel greco (lingua in cui è stato scritto il nuovo testamento) troviamo un lessico molto ricco per esprimere l’amore/amare, con una grande varietà di sfumature, ma si adoperavano principalmente tre termini: eros, philia e agape.

  • Eros (έρως) è, per lo più, l’amore sensuale, passionale, sessuale;
  • Philia (φιλία) è l’amore di affetto, di amicizia, vicendevole, ricambiato tra amici;
  • Agape (αγάπη) è l’amore gratuito, disinteressato, incondizionato, altruistico, oblativo, smisurato e, quindi, spesso associato ad un amore spirituale. In latino viene tradotto con caritas.

Questo termine “agape”, piuttosto raro nel greco classico, è quello adottato dalla Sacra Scrittura per descrivere l’amore di Dio e la carità fraterna. Agape è la perfezione e sublimazione dell’amore. Nel nuovo testamento la radice di questo termine greco ricorre 320 volte (Gianfranco Ravasi). Agape è diventato l’espressione caratteristica della concezione cristiana dell’amore.

Ogni cristiano sa che “Dio è amore” (1Giovanni 4,7-10, seconda lettura) e che “Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai…” (Galati 5,14). L’amore smisurato a Dio e ai fratelli fa dire a Sant’Agostino: “Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te.” (Confessioni, IV,9).

La parola “amore” è tanto usata ed abusata, sia nel linguaggio comune come nel nostro ambito ecclesiale, quanto logora. Credo che ci farebbe bene “fare digiuno” di questa parola per tentare di riscoprire il suo sapore genuino, andato perduto. A forza di parlare d’amore ci possiamo illudere di sapere amare. “Non si diventa ubriachi sentendo parlare di vino” (Isacco il Siro). Più che parlarne cerchiamo di lasciare che questa parola risuoni in noi, si renda “vera” per noi, per stupirci, meravigliarci, emozionarci fino alle lacrime: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Giovanni 13,1, introduzione al discorso di addio). Accogliamo questo amore traboccante, senza resistenze, e lasciamoci travolgere da questo fiume in piena!

Il Comandamento

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.”; “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”. Strano a dirlo, la seconda “parola” che ricorre più spesso nel brano del vangelo di oggi è comandamento/comando. Ma si può comandare al cuore?! Sì e no! L’amore è dono, ma anche impegno, un’adesione e una decisione della volontà. Si può scegliere di vivere nell’amore o nel disamore, nell’indifferenza e perfino nell’odio. Questa scelta si fa spesso in modo inconscio.

Mentre l’amore eros è spontaneo e istintivo, l’amore agape, invece, va voluto e desiderato e, pertanto, “comandato” dalla ragione. Esso non sarà mai “naturale”. Ecco cosa intende Gesù con il suo “comandamento nuovo”!

Il Padre

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”. Il “Padre” appare qui quattro volte e più di una cinquantina nei capitoli 13-17. Gesù parla del Padre con amore e tenerezza, con l’esaltazione di un innamorato, e vorrebbe trasmetterci questa sua passione. È il Padre che si inginocchia davanti a noi, suoi figli, per lavarci i piedi, perché “chi ha visto me ha visto il Padre!”. È il Padre che, per l’unzione dello Spirito, rende belli i piedi dei suoi figli chiamati ad annunziare il Vangelo: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie.” (Isaia 52,7). Tutti i giorni invochiamo Dio come Padre, ma quanto la nostra immagine di Dio è stata evangelizzata? La peggiore conseguenza del peccato è quella di distorcere la nostra idea di Dio, che da Padre diventa padrone e giudice!

Amici

Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici”. È una novità assoluta. Non siamo più servi, ma amici di Gesù, di Dio. L’amore agape ci può intimidire, tant’è alto e sublime, ma l’amore philia, invece, fa sussultare il nostro cuore. L’amore philia, di amicizia, è una via verso l’amore agape. Alla fine del vangelo di Giovanni (21,15-19) Gesù domanda a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami [ἀγαπᾷς με] più di costoro?”. Pietro risponde: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene [φιλῶ σε]”. Pietro non ha il coraggio di rispondere con lo stesso verbo “amare”, ma utilizza il verbo “essere amico”. Finché, alla terza volta, Gesù accetta di chiedergli un amore di amicizia: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Trovo particolarmente consolante questa condiscendenza di Gesù verso di noi, affamati di amore ma incapaci di amare alla misura di Dio. Sì, ti voglio bene Gesù che mi hai amato fino alla [tua] fine e, ne sono certo, mi amerai fino alla [mia] fine!

La gioia

Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La gioia è il termometro dell’amore. Il tempo pasquale è il tempo della gioia. Apriamo il nostro cuore alla gioia di Pasqua. La gioia è un dono, ma pure una scelta. Sì, perché possiamo, purtroppo, rimanere nella tristezza, in un atteggiamento continuo di compianto, di mestizia e di insoddisfazione per la vita. Una Pasqua che non porta la gioia è una Pasqua mancata!

Preghiera di Madre Teresa per chiedere il dono dell’amore

Insegnami l’amore

Signore, insegnami a non parlare
come un bronzo risonante
o un cembalo squillante,
ma con amore.
Rendimi capace di comprendere
e dammi la fede che muove le montagne,
ma con l’amore.
Insegnami quell’amore che è sempre paziente
e sempre gentile;
mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso;
l’amore che prova gioia nella verità,
sempre pronto a perdonare,
a credere, a sperare e a sopportare.
Infine, quando tutte le cose finite
si dissolveranno e tutto sarà chiaro,
che io possa essere stato il debole
ma costante riflesso del tuo amore perfetto.
M. Teresa di Calcutta

padre Manuel João Pereira Correia: