Da duemila anni la Chiesa chiama i pastori a stare nella storia. E’ il mandato evangelico: aiutare le persone a santificare la quotidianità. La miseria è indegnità, la povertà è uno stile di vita. La verità è come l’acqua, la strada la trova. Non sono gli uomini che cambiano l’umanità, ma Dio. La Chiesa cresce nella dimensione della collegialità, nell’assunzione comune e responsabile del bene di tutti. Senza mai dimenticare la differenza tra povertà e miseria. Nei Vangeli si dice “beati i poveri”, non “beati i miseri”. Per rivolgersi alle coscienze serve sensibilità e disponibilità al dialogo. La Chiesa è per il mondo e per l’umanità e l’umanità ha tante facce. Gesù ci ha donato la verità e la misericordia. Il nostro impegno come Chiesa è mettere insieme verità e misericordia perché laddove non ci riusciamo rischiamo di dividere la persona di Cristo. Ogni Chiesa locale ha la sua storia e ogni storia è significativa per la bellezza di quella universale. L’imperativo è non abbandonare mai nessuno. Il Papa indica la necessità di una Chiesa traboccante di compassione d’amore, che sappia distinguere il peccato dal peccatore: il nostro patrimonio è la maternità spirituale nei confronti dell’umanità nella convinzione che la bellezza della Chiesa non è negli addobbi ma nell’amore per Cristo. E nell’impegno di liberare tutti dalla “inequità” di cui Francesco parla nella Evangelii Gaudium. Occorre suscitare l’impazienza della carità.In un mondo così complesso, la Chiesa non può incasellare tutto in certi termini o certi concetti precisi che vescovi e sacerdoti si sono abituati a usare. Oggi molta realtà sfugge. Occorre unire l’educazione alla compassione. Ogni persona è un dono di Dio e ha qualcosa da offrire all’altro. Tutto il Magistero di Francesco è un appello ad accompagnare e a educare perché ogni persona capisca il messaggio del Vangelo che non è contro nessuno ma a favore di tutti. Nel senso che può aiutare ciascuno a capirsi e a vivere in relazione con gli altri. Francesco come Giovanni XXIII ha il coraggio e la lungimiranza di volere una Chiesa profetica, in grado di leggere i segni dei tempi. Jorge Mario Bergoglio mette al centro la misericordia e la necessità del dialogo in un mondo aperto. La Pasqua richiama l’attenzione distratta dell’umanità sui “cristi abbandonati”. Ossia, nel solco della Magistero, sui popoli sfruttati e lasciati a sé stessi, sui i poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo. Sui migranti che non sono più volti ma numeri. Sui detenuti rifiutati, sulle persone catalogate come problemi. Eccoli gli invisibili, nascosti, che vengono “scartati coi guanti bianchi”. Bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani disorientati e sopraffatti dal vuoto di senso esistenziale. Francesco invoca la grazia di saper riconoscere Gesù che grida nei “cristi abbandonati”. Il mandato evangelico è non lasciare solo nessuno, non escludere nessuno. I rifiutati sono “icone viventi” del Risorto. Come evidenzia il sacerdote di frontiera, don Aldo Buonaiuto, il mondo che Il Pontefice (etimologicamente “costruttore di ponti”) auspica e interpreta è un mondo aperto, dove in principio non esistono situazioni o abitudini precostituite. E’ una galassia di relazioni e di dialogo, due facce di una stessa medaglia. Due aspetti della medesima regola di vita. Cristo morto e risorto è l’emblema del sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla. Empatico è lo sguardo del papa figlio di migranti sull’umanità ferita del terzo millennio. “Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia”, avverte Francesco. La “Chiesa in uscita” sublima appunto la vocazione a “condividere”, “camminare insieme” attraverso opere in cui si esercita la carità verso chi soffre. “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”, scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Il mistero pasquale è in grado di accompagnare e accogliere l’uomo concreto con le sue ferite e contraddizioni senza mai farne un’astrazione. Riflettere teologicamente e filosoficamente sulla Rivelazione induce a porsi le questioni fondamentali della dottrina su Dio e sull’uomo. La misericordia racchiude il nucleo e la somma della rivelazione biblica. Prima dei princìpi, insomma, viene il kerygma, l’annuncio che il Vangelo è amore, accoglienza verso tutti. L’immagine di Chiesa che Francesco indica con la sua quotidiana testimonianza di sinodalità è quella espressa dal Concilio Vaticano II nella costituzione “Lumen Gentium. E cioè il “santo popolo fedele di Dio”. Il “sentire cum Ecclesia”. La Pasqua, secondo Francesco, è la predicazione e la dimostrazione di come l’insieme dei fedeli sia infallibile nel credere. L’ “infallibilitas in credendo” si esprime attraverso il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. La comprensione del “sentire con la Chiesa” riguarda fedeli e pastori. Francesco, sottolinea don Buonaiuto, esorta incessantemente a non ridurre l’Ecclesia a una “piccola cappella” che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Il seno della Chiesa universale è inconciliabile con il “nido protettore della nostra mediocrità”, ammonisce il Papa. E attenzione al nichilismo, “vero buco nero dell’universo spirituale”, ha messo in guardia il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa nella celebrazione della Passione del Signore. Gesù di Nazareth è morto per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo, ma la sua risurrezione ci assicura che questa strada non va verso la disfatta, ma, grazie al nostro pentimento, porta a quella “apoteosi della vita invano cercata altrove”. Perciò , come invita Dante Alighieri, “siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogni vento, e non crediate ch’ogni acqua vi lavi“.