Chiesa piccola, Paese enorme e strategico. Il Kazakistan è uno de luoghi perfetti per esprimere l’ecclesiologia e la geopolitica bergogliana. Infatti il congresso di Nursultan è stato un duello culturale e di visione tra lui e il grande assente, il patriarca di Mosca Kirill. Due visioni opposte del mondo e dei percorsi terapeutici possibili.
Tutto è stato chiaro da subito: alle 11.41 del 14 settembre le agenzie hanno riferito che Francesco sollecita “i leader religiosi a usare il dialogo per comporre i conflitti”. Un minuto prima si era letto che Kirill, nel suo messaggio letto dal responsabile delle relazioni internazionali, metropolita Antony, ammoniva che “tentativi di costruire un ordine mondiale senza basarsi su valori morali conduce a scontri molto accesi”. Dunque dialogo come metodo addio, piuttosto Stato etico e scelte metafisiche, con la religione che legittima e benedice il potere politico. Per Francesco invece, “senza lasciarsi irrigidire da dogmatismi e moralismi”, si evita il rischio più grande, e cioè che “il sacro sia puntello del potere”.
La chiesa piccola che Francesco tanto ama e premia, soprattutto se espressione di un Paese sconfinato, difficilmente potrà pensarsi fonte sorgiva del potere politico e seguiterà ad affidarsi all’amore di Dio più che a quello di Cesare. Questo la renderà un bene prezioso da capire e apprezzare per i suoi concittadini di diverse identità religiose. Così si cominciare a capire da dove sia partito Francesco e cioè che cosa sia nella sua valenza di fondo quello spirito di Helsinki che il papa ha evocato all’inizio del Congresso.
Lo spirito di Helnsinki, cioè quella dichiarazione di Helsinki che diede vita alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Csce) su sicurezza, cooperazione e diritti umani. Questo mappamondo vale per le relazioni internazionali ma se ci si pensa bene vale anche nelle società: la sicurezza, la cooperazione e i diritti sono i tre ambiti in cui a nessuno può essere negato un partenariato con gli altri. Altrettanto è evidente che le preoccupazioni per la sicurezza sono legittime per ogni stato, come l’urgenza di accompagnarle con la cooperazione e la mutua applicazione dei diritti umani. Non sono i blocchi che garantiscono la pace, ma il multilateralismo sociale e internazionale.
Bisogna capire bene cosa ha detto Francesco prima di rientrare a Roma: “Ci sono troppi odi e divisioni, troppa mancanza di dialogo e comprensione dell’altro: questo, nel mondo globalizzato, è ancora più pericoloso e scandaloso. Non possiamo andare avanti collegati e separati, connessi e lacerati da troppe disuguaglianze. Grazie, dunque, per gli sforzi tesi alla pace e all’unità”.
La Chiesa di Francesco emerge dunque come la vera promotrice di quella volontà di riconciliazione che gli altri sistemi culturali di fatto escludono perché ancora propensi all’assolutezza, alla celebrazione della propria visione. “Dopo quanto accaduto l’11 settembre 2001, era necessario reagire, e reagire insieme, al clima incendiario a cui la violenza terroristica voleva incitare e che rischiava di fare della religione un fattore di conflitto. Ma il terrorismo di matrice pseudo-religiosa, l’estremismo, il radicalismo, il nazionalismo ammantato di sacralità fomentano ancora timori e preoccupazioni nei riguardi della religione. Così in questi giorni è stato provvidenziale ritrovarci e riaffermarne l’essenza vera e irrinunciabile. In proposito, la Dichiarazione del nostro Congresso afferma che l’estremismo, il radicalismo, il terrorismo e ogni altro incentivo all’odio, all’ostilità, alla violenza e alla guerra, qualsiasi motivazione od obiettivo si pongano, non hanno nulla a che fare con l’autentico spirito religioso e devono essere respinti nei termini più decisi possibili (cfr n. 5): condannati, senza “se” e senza “ma”. Inoltre, in base al fatto che l’Onnipotente ha creato tutte le persone uguali, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa, etnica o sociale, abbiamo convenuto nell’affermare che il mutuo rispetto e la comprensione devono essere considerati essenziali e imprescindibili nell’insegnamento religioso (cfr n. 13).”
Questo mutuo rispetto non c’è. Non c’è verso i migranti, non c’è verso gli appartenenti ad altre fedi, non c’è verso altre etnie e in casi specifici non c’è verso i credenti da parte dei non credenti e non c’è verso i non credenti da parte dei credenti. “Perciò la Chiesa cattolica, che non si stanca di annunciare la dignità inviolabile di ogni persona, creata “a immagine di Dio” (cfr Gen 1,26), crede anche nell’unità della famiglia umana. Crede che «tutti i popoli costituiscono una sola comunità, hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra» (CONC. ECUM. VAT. II, Dich. Nostra aetate, 1). Per questo, sin dagli inizi di questo Congresso, la Santa Sede, specialmente attraverso il Dicastero per il Dialogo Interreligioso, vi ha partecipato attivamente. E vuole continuare così: la via del dialogo interreligioso è una via comune di pace e per la pace, e come tale è necessaria e senza ritorno. Il dialogo interreligioso non è più solo un’opportunità, è un servizio urgente e insostituibile all’umanità, a lode e gloria del Creatore di tutti”.
Forse l’incontro tra Francesco e Kirill si farà, Mosca in realtà lo spera. Ma l’intransigentismo moscovita è l’altro volto di un cristianesimo fatto di impegno per la riconciliazione, questo nessuno mi sembra lo possa negare. E la natura coriacea di certo cristianesimo identitario e impositivo lo conferma.