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Chi sono i nemici americani di Putin… e di Trump

Apoche ore dall’incontro di Helsinki, il retrogusto lasciatoci da questo evento assume un sapore decisamente agrodolce. Difficile aspettarsi uno scambio di battute più cordiale di quello avvenuto lunedì in terra finnica, nonostante la pronta reazione dissenziente dell’establishment americano ed europeo non si sia fatta attendere. Come da pronostico, il Russiagate ha occupato una porzione rilevante del dibattito: molti media americani non hanno esitato nel sollevare la questione dinanzi ai massimi rappresentanti di due delle tre principali super potenze mondiali. L’insistenza sull’argomento poteva rappresentare, per Donald Trump, un ulteriore motivo di imbarazzo, considerando le reazioni al limite dell’isteria che, dal novembre 2016, la parola “Russia” rievoca immediatamente nel circuito mediatico statunitense sia esso di estrazione democratica o repubblicana. Inoltre, diversi analisti non hanno mancato di sottolineare quanto sia stata difficile la settimana di Trump (impegnato in una controversa tournée europea) in confronto a quella di Putin (vincitore “morale” di un Mondiale di calcio organizzato alla perfezione). Il Presidente statunitense, tenendo fede al suo classico approccio istintivo ed imprevedibile, ha negato fermamente qualsiasi tipo di coinvolgimento, dichiarando che le inchieste condotte riguardo a possibili interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane non sono nient’altro che una “farsa”, giudicando particolarmente “potenti” le argomentazioni di Vladimir Putin riguardo il caso. Trump ha poi aperto all’assoluta necessità di migliorare le relazioni bilaterali, logorate dalla “stupidità” delle precedenti amministrazioni Usu e dall’atmosfera di “caccia alle streghe” generata dalla successiva inchiesta. Tutto ciò è stato pubblicato dal Presidente americano tramite il suo profilo Twitter, al quale il Ministero degli Esteri russo ha reagito positivamente con un “like”. Un incontro, dunque, dai toni sorprendentemente concilianti, dove il Presidente russo, oltre a ribadire la totale estraneità di Mosca nel caso Russiagate, ha anche confermato l’ormai consolidata appartenenza della Crimea, definendola “una questione chiusa”.

Proprio le ingerenze russe, la Siria, il nucleare iraniano, la Crimea e la questione rappresentata dai gasdotti russi in Europa sono stati i temi caldi che hanno caratterizzato un incontro di circa due ore, seguito da una conferenza stampa che ha “riflesso” l’univocità di vedute tra i due capi di Stato riguardo i dossier più scottanti, nonostante, così come ricordato da Trump, permangano delle divergenze. Si ha come l’impressione che il Presidente Usa abbia voluto più volte ammonire l’Unione Europea e gli alleati Nato, piuttosto che avallare il “classico” scontro con Mosca. Il cambio di paradigma di Washington, in tal caso, avrebbe letteralmente del sensazionale, anche solo considerando le ripercussioni che questo nuovo corso potrebbe avere sui tradizionali rapporti sui quali è fondata l’Alleanza atlantica. Di diverso avviso, come prevedibile, i media statunitensi, corroborati nelle critiche da una folta schiera di analisti, politici ed intellettuali dimostratisi palesemente contrariati all’approccio trumpiano mostrato ad Helsinki, non lesinando espressioni forti.

Il presiedente della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, non ha esitato nel dichiarare che la Russia non è un alleato degli Stati Uniti e che, in quanto tale, addirittura non può godere di “moral equivalence”. “Inorridita” la reazione dell’establishment sia repubblicano che democratico, così come twittato da David Axelrod (consigliere di Obama) e dall’analista Mike Murphy: il primo non ha esitato ad apostrofare Putin come “brutale despota”, mentre il secondo ha ritenuto “debole” l’approccio di Trump in quello che è stato definito un “giorno buio”. Il malumore generale della politica statunitense non ha risparmiato neanche quei gesti cordiali che potevano essere interpretati come un segnale di positiva distensione: il senatore repubblicano Lindsay Graham ha dichiarato – tra il serio ed il faceto – che sarebbe opportuno controllare se nel pallone donato da Putin non sia stata installata qualche sofisticata microspia.

La divaricazione tra la visione del presidente Trump e quella del Deep State statunitense sembra allargarsi sempre di più, anche considerando gli avvenimenti delle ultime ore: pochi giorni prima dell’incontro di Helsinki, il Procuratore speciale per il Russiagate Robert Mueller ha ordinato l’arresto di dodici presunte spie russe per aver portato a termine il furto di e-mail dalla campagna elettorale di Hillary Clinton durante le presidenziali del 2016 tramite un sistema di “spear-pishing” che consente di monitorare le attività informatiche tramite posta elettronica proveniente da fonti attendibili. Proprio durante l’incontro Trump-Putin, poi, è stata arrestata negli Stati Uniti una studentessa 29enne russa, Marija Butina, al soldo, secondo gli inquirenti, di un rappresentante vicino al Cremlino. La donna avrebbe voluto infiltrarsi in alcune organizzazioni politiche americane. Queste inchieste vanno a sommarsi ad un’opinione pubblica fortemente condizionata dal desiderio di continuare a lottare contro Mosca, sulla scia di quanto visto negli ultimi cinque anni. Nonostante il riavvicinamento di facciata, i segnali lanciati dall’establishment americano nei confronti di Trump non lasciano spazio ad ulteriori dubbi: questo “matrimonio” – a quanto sembra – non s’ha da fare.

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