A tutti sarà capitato di finire in una discussione su quanto sia ampio e dove sia il debito pubblico italiano. Su quanto ammonti non c’è molto da discutere, l’Istituto Bruno Leoni da tempo ha implementato un contatore con la stima puntuale dell’indebitamento dello stato ma, alla fine del 2022, che è il dato più attendibile e verificato, ammontava a 2’762mld equivalenti al 147,3% del PIL.
La buona notizia è che questo valore sia in calo di circa tre punti percentuale rispetto al dicembre 2021, la cattiva è che sia troppo elevato per permettere grandi margini di manovra allo stato, cosa che si è vista nella definizione dell’ultima Legge di Bilancio.
Benché si possa sdrammatizzare citando la famosa battuta di Ronald Reagan «Il debito pubblico è abbastanza grande da badare a sé stesso» la situazione non è certamente rosea anche se le basi finanziarie del Paese siano piuttosto solide, potendo contare su un’ampia ricchezza privata e un rapporto tra debito totale (pubblico + privato) e PIL, che è uno dei parametri di stabilità più importanti anche se meno mediatici, decisamente sostenibile; ciononostante è indubbio che occorra premere l’acceleratore su una normalizzazione dl debito e a una sua sensibile riduzione, in rapporto al PIL nei prossimi anni per permettere di avere più margini per politiche proattive alla crescita e reagire ad eventuali crisi, come la crisi energetica derivante dallo scoppio dalla guerra in Ucraina, in maniera più efficace e repentina.
Resta, ora, una domanda e cioè “chi possiede il debito?”. Diciamolo, quante volte si è sentito dire “se facessimo come il Giappone e possedessimo noi il debito non saremmo sotto la minaccia della speculazione”? Questo è uno dei discorsi da bar più frequenti sull’argomento e, tristemente, anche uno degli spunti polemici di alcune forze politiche che hanno fatto del chiacchiericcio e dell’improvvisazione il loro stesso programma, tanto da ipotizzare la creazione di una fantomatica moneta fiscale con cui bypassare le politiche monetarie della BCE o quelle creditizie delle banche commerciali… ma questa è un’altra storia.
Dov’è questo debito, quindi? Per la stragrande maggioranza è e resta in Italia, la vera notizia è questa. Nel 2022 la Banca d’Italia aveva in pancia il 26,2% dei titoli di debito come conseguenza dei programmi di acquisto della BCE che, tra l’altro, prevedono il mantenimento in portafoglio di questi titoli, come si suol dire, a maturity quindi fino alla scadenza senza alcuna possibilità di cessione sui mercati. I tre quarti scarsi restanti sono suddivisi per circa il 38% tra istituti finanziari italiani, cioè banche, assicurazioni e fondi comuni di investimento, un 8,5% circa in possesso di famiglie e imprese e solo il 27% circa in mano a investitori esteri.
Volendo vedere la situazione non è che sia, poi, molto lontana da quella del Sol Levante, anche se la quota di debito in mano estera è più che doppia, laggiù si parla dell’88% del debito in mano pubblica o di investitori nazionali, qui in Italia si parla del 73% che è, comunque, una quota assai rilevante e che ne garantisce una certa stabilità nonostante la mole che, negli anni, è arrivata a rappresentare il terzo debito pubblico più elevato al mondo, durante gli anni dei governi Conte, per poi ritracciare “fuori dal podio” al quarto posto odierno dietro Giappone, appunto, Grecia e Libano.
Ora che il debito rappresenti una zavorra piuttosto ingombrante per ogni manovra che il Governo possa intraprendere non c’è alcun dubbio ma per ridurlo si apre la strada al che fare. È evidente che l’investimento nazionale nel debito sia un segnale anche di fiducia nel futuro, anche perché non è più il tempo dei rendimenti a doppia cifra dei BOT che li resero celebri nei furenti anni 80 quando arrivarono a toccare quasi il 20% annuo tra il 1981 e il 1982 per mantenersi costantemente sorta il 10% fino al 1993, ma fino ad oggi non è che il sistema Italia abbia brillato per efficienza e capacità di creare ricchezza, tanto che il debito ha continuato a salire incessantemente anche ben prima della pandemia che lo ha fatto schizzare ai livelli record che ricordiamo tutti.
Per ridurre il debito in rapporto al PIL l’unico mezzo è stimolare la crescita e sapendo che più di un quarto di questo sia immobilizzato in pancia al sistema delle banche centrali europee (e, quindi, che parte degli interessi pagati saranno ristornati come quota di competenza a Bankitalia e prelevati per via fiscale dall’Erario, diminuendo di fatto la servitù del debito) dovrebbe dare una certa tranquillità per programmare degli interventi strutturali di riqualificazione di spesa e investimenti per arrivare a rendere l’economia più reattiva e produttiva.
Anni fa Margaret Thatcher disse “È molto bello parlare di libertà qui con voi in Italia, perché non appena libererete la vostra economia dalla burocrazia e dai sussidi nessuno saprà competere in Europa con il vostro talento” e la stabilità del debito è uno dei punti che potrebbe permettere di pianificare un percorso per giungere a quello che la Lady di Ferro immaginava per il nostro Paese.