Lo so bene: Maastricht non va di moda. Anzi, va di moda in senso uguale e contrario. Negli anni Novanta era la nostra grande missione collettiva. Ricordo l’entusiasmo e l’emozione con cui Romano Prodi, Walter Veltroni e Nino Andreatta accolsero Carlo Azelio Ciampi quando portò a Palazzo Chigi i dati macroeconomici che certificavano l’idoneità italiana ad entrare nel sistema della moneta unica. Ce l’avevamo fatta, contro ogni previsione. Oggi l’euro, e più in generale le regole di bilancio fissate per farne parte, funzionano benissimo come punchball su cui rovesciare tutte le frustrazioni di una stagione di depressione economica e debolezza politica.
In questo Beppe Grillo e Matteo Salvini sono specialisti. Fossero soltanto loro, non ci sarebbe da preoccuparsi troppo. In fondo è una delle loro ragioni sociali. Ma quando è il leader del Partito democratico a dire che l’europa è una massa di burocrati, allora si, il problema è serio. Quanto alla virtù di bilancio, credo che basterebbe studiare la storia, purtroppo rimossa, del debito pubblico italiano. In particolare nei suoi effetti perversi. Una quantità spaventosa di soldi pubblici letteralmente buttati per riparare alle scelte scriteriate fatte negli anni Settanta e Ottanta.
Complessivamente, dal 1995 in poi, oltre mille miliardi di euro per gli interessi passivi sul debito. Risorse che gli altri paesi investivano sulla crescita o sul welfare. E’ che noi siamo stati costretti a sacrificare per evitare di svegliarci un giorno e scoprire di essere uno stato fallito. Soprattutto qui va ricercata l’origine dei nostri problemi recenti. Con chi vogliamo prendercela? La causa è nei nostri errori come nazione, certamente non nell’europa. Ma c’è di più: ancora i numeri raccontano come sia stato proprio grazie a Maastricht che l’Italia ha ricominciato un percorso virtuoso. Gli obblighi del patto di stabilità hanno arrestato la crescita del debito nel rapporto con il Pil.
E ciò, fino alla grande crisi degli ultimi 5 anni, quando il crollo della crescita ha purtroppo parzialmente complicato il percorso di rientro. Ma questo – pochi lo ricordano – è avvenuto per l’Italia in proporzioni minori rispetto a tutti gli altri principali Paesi europei. Il problema è che il nostro debito pregresso era talmente rilevante da compromettere pesantemente le capacità di recupero sul medio termine.
La storia non si fa con i se. Talvolta però, non resisto. E mi chiedo: dove saremo ora se non ci fosse stata Maastricht? E’ certamente un esercizio difficile. Tante sono le variabili che scoraggiano simulazioni di questo tipo. Tuttavia, qualche certezza l’abbiamo. E’ inopinabile, per esempio, che il nostro debito sia passato, dall’inizio degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta, da circa il 40 per cento al circa il 120 per cento in rapporto al Pil. Senza Maastricht, e perseverando con le politiche precedenti, oggi potremmo essere ampiamente sopra il 200 per cento del Pil.