Risulta quantomeno curioso rilevare come lo scorso maggio, a seguito di una campagna dei movimenti pro-life con l’affissione in varie città italiane di manifesti contro l’aborto, ci fu un’insurrezione generale di associazioni e Comuni che portarono all’immediata rimozione dei poster nelle varie realtà locali. L'iniziativa fu definita “comunicazione violenta”. Non allo stesso modo deve essere stata considerata l’iniziativa contraria pro-aborto della Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) che recentemente ha promosso sul territorio nazionale una campagna contro la vita che probabilmente è stata ritenuta comunicazione non violenta, secondo parametri e logiche che sfuggono alla ragione ed al comune sentire. Anche nelle Marche recentemente sono apparsi tali manifesti nei quali s’invitano le donne a “Non affidarsi al caso” ma, in caso di gravidanza, “ad informarsi se il proprio medico pratica qualche forma di obiezione di coscienza”. In perfetta coerenza con le proprie convinzioni non poteva mancare nell’affisso, a mezzo busto e senza volto, l’accostamento certamente di cattivo gusto delle due figure incriminate: quella del medico col fonendoscopio in divisa operatoria e quella del sacerdote con abito talare su cui spicca la croce del Cristo, quasi a voler dimostrare che il rispetto della vita sia solamente di pertinenza dei cattolici. Niente di più errato. La vita va rispettata sempre e comunque nella sua dignità che è intrinseca alla persona umana indipendentemente dalla sua età, dal sesso, dal colore della pelle, dal suo credo politico, dalla sua condizione di salute o dal suo rango sociale; non esiste una vita dei cattolici o dei mussulmani, degli induisti o di altre confessioni religiose, non rappresentando in se stessa un valore meramente di tipo confessionale. Quanti seppur atei o agnostici rispettano la vita solo perché è vita ed appartiene all’uomo? Nel manifesto sopra menzionato ci si è dimenticati infatti che esiste una legge dello Stato, la 194, che all’art. 2, in riferimento alla legge 405 del 29 luglio 1975, demanda ai consultori familiari l’assistenza della donna in stato di gravidanza e all’art. 9 regola il diritto all’obiezione di coscienza. Ed una legge dello Stato va sempre rispettata anche nelle parti non confacenti alle proprie idee o convinzioni.
Risulta quantomeno singolare poi che in un momento dove la natalità nel nostro Paese si è ridotta quasi allo zero, dove da più parti c’è l’invito ai governi di perseguire politiche per la famiglia con incentivi alle giovani coppie riguardo alle nascite, ci possa essere ancora chi in nome di una ideologia contraria al rispetto della vita umana inciti tuttora alla soppressione di nuove vite. Ed in mezzo a questa drammaticità ancora una volta viene mistificata e distorta la figura del medico come colui che opera esclusivamente per motivi confessionali. “Gli ospedali sono pieni di obiettori, spesso assunti e promossi proprio per la loro adesione alla dottrina cattolica. Non sono infrequenti i casi in cui ostacolano l’intenzione di interrompere una gravidanza o decidono di non sottoporre la gestante alle diagnosi che evitino la nascita di un bimbo già condannato ad una malattia invalidante”. Affermazioni gravissime che meriterebbero forse anche una attenta valutazione da parte della FNOMCeO nello stesso momento in cui viene messo in dubbio il corretto agire del medico che quindi, come si vorrebbe far credere nel manifesto, agirebbe scientemente con la non osservanza dell’art. 33 del codice deontologico relativamente al consenso informato. Vale da ultimo ricordare che, al contrario di quanto sostenuto nel manifesto dall’Uaar, nel nostro Paese avviene esattamente l’inverso, dove in non pochi concorsi viene richiesto come requisito di partecipazione quello di essere medico non obiettore.
Stefano Ojetti – Vicepresidente nazionale Amci (Associazione Medici Cattolici Italiani)