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Che Cei sarà quella dell’era Zuppi

La nomina di Matteo Zuppi al vertice della Conferenza Episcopale Italiana impone due domande: che CEI sarà quella dell’era Zuppi? E come mai i giornali italiani di tutti gli orientamenti, anche pochi attenti alla fede, hanno dato un enorme risalto alla notizia, ricorrendo a termini non semplicemente elogiativi, ma quasi “risorgimentali”?

Per arrivare al secondo punto sarà bene partire dal primo. Come si può immaginare l’epoca zuppiana? Per rispondere potrebbe bastare una parola: Firenze. Quando si parla di Firenze e CEI ci si riferisce al discorso che pronunciò Francesco davanti ai vescovi riuniti nel capoluogo toscano e che sembra non sia stato pronunciato visto che nulla è stato fatto di quel che discorso indicava.  Il papa riassunse il suo senso in tre parole iniziali: “umiltà, disinteresse, beatitudine”, dove per beatitudine intese “apertura del cuore allo Spirito Santo, non al successo”. Con questi tre tratti si prefigurava una Chiesa che ha come priorità la vita quotidiana della gente: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedure”. Dunque addio pianificazioni astratte, assenza di domande, come anche addio a logicità astratte che non sanno incarnarsi, e quindi costruiscono sulla sabbia. Il programma della Chiesa di Zuppi se fosse riassumibile nella parola “Firenze” sarebbe quello di fare una Chiesa di pastori. Si potrebbe pensare di essere nel giusto vista l’attuale rarefazione del processo sinodale e l’insistenza del neo-presidente della CEI appena eletto sulla parola “sinodalità”: popolo (gregge) e pastori, questo è il sinodo. Sarebbe la fine del clericalismo. Dunque?

Il linguaggio politico mediato molto spesso anche per affari non politici ha portato sempre e porta anche in questo caso a parlare, appunto, di progressisti e conservatori. Saremmo dunque a un cambio d’epoca o di passo, dall’epoca dei conservatori a quella dei progressisti. Io credo che leggere così sia sbagliato, e produce attese o previsioni destinate a non far cogliere quel che potrebbe essere la novità. Eppure il cambiamento è atteso, lo si percepisce. Questo cambiamento però, oltre che anagrafico, che pure conta, è di altra natura. Lo presenterei come il passaggio dall’epoca magistrale a quella materna. Mater et magistra, è questa la duplice natura della Chiesa. Ed è nella tensione tra queste due dimensioni che si gioca il carattere innovativo dell’epoca Zuppi. Prima madre, poi maestra. La lunga stagione che ci lasciamo alle spalle ha visto invece un ordine inverso: prima maestra, soprattutto maestra.

Se la stagione del cardinale Bassetti può essere definita come un’epoca di passaggio, quella di don Matteo Zuppi, guardando alla sua storia e al suo modo di essere, appare chiaramente e prioritariamente da Chiesa-madre. E’ evidente l’esistenza di una Chiesa che si sente giudice eterno, al di sopra e al di là della storia. E’ sempre esistita e certi frangenti storici possono renderla più forte, evidente. La storia recente può farcela vedere come una Chiesa che non pensa alle sofferenze e alle difficoltà dell’uomo, quasi percepisse la necessità di tutelare i diritti di Dio. In questo modo l’azione ecclesiale non risulta un camminare nella storia, con l’uomo d’oggi. Questa Chiesa ritenendo messi in discussione i diritti di Dio potrebbe ritenere di dover insegnare quali siano, e come rispettarli, non violarli. Alle volte però si potrebbero vedere messi in discussione diritti indisponibili anche senza violare la legge della Chiesa stessa, come nel caso di chi interrompesse la ventilazione di un malato consenziente, non l’alimentazione o l’idratazione.

Ma tutto questo allontana dalla sofferenza reale, dai diritti dell’uomo di cui la Chiesa parla da quando per primo lo fece Giovanni XXIII. Facendolo invece la Chiesa diventa una Chiesa che cammina con noi nella storia, vedendo uomini attaccati a macchine dalle quali si dipende per decenni, o da cure interminabili, o da solitudini esasperanti, o da costi stratosferici, o da tempi angoscianti e forse da perdite di senso mortificanti. Bisogna vivere nella storia per essere accanto a chi vive questa realtà che non è stata conosciuta in altri tempi, come altre realtà diffuse e altrettanto poco familiari all’uomo di decenni fa, come il precariato. Se occupazione e disoccupazione cambiano il rapporto con l’oggi, il precariato cambia il rapporto con il domani: ci sarà? Questa diversa insicurezza va collocata in un contesto sempre più digitale, dove la cultura (digitale) ci dice che non ci sono scelte irrevocabili, errori fatali. L’incerto così è una certezza e aumenta il bisogno di amici, più che di maestri. La Chiesa di Zuppi potrebbe essere amica in un tempo di spaesamento. Per riuscirci però dovrebbe probabilmente liberarsi dalle eccessive rigidità derivanti dalla stare in cattedra. Nel tempo dello spaesamento diventano decisive quelle che il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, chiama “parole-conchiglia”, parole che fanno echeggiare nel nostro mondo altri mondi. Questo non accade con le parole infilzate sulla realtà come farfalle, per usare ancora il ragionamento di padre Spadaro. Le parole conchiglia aprono il mondo, non lo chiudono, riservandolo alla solitudine davanti alle regole certe.

Forse è anche per questo che la risposta al secondo interrogativo, quello sul risalto dato all’elezione-nomina di Matteo Zuppi, acquista valore. E’ l’idea di un Paese che ha bisogno di qualche gomena alla quale aggrapparsi per non affondare nella sfiducia, nello smarrimento, nella vaghezza dei riferimenti, nella liquidità dei tempi presenti. Negare amicizia a chi si senta smarrito può essere più grave di negargli soccorso. Un amico non basta, ma in certi momenti è più importante di qualsiasi aiuto materiale. Se la strada della CEI di Zuppi saprà essere quella che conduce a Firenze è difficile dirlo oggi, perché non dipende solo da lui, Matteo Zuppi. Ma le reazioni dei giorni della sua scelta ci dice quanto sarebbe efficace la scelta fiorentina.

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