Categories: Intervento

Le cause del divario salariale tra uomini e donne

Il 18 settembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale della parità retributiva, un tema di  portata globale. Se ci focalizziamo sull’Europa, osserviamo infatti che il divario salariale tra uomini è donne è in media del 20%. Per fornire un altro dato generale, gli uomini dedicano in totale quattro anni di lavoro non retributivo alle mansioni di cura, mentre le donne dieci – l’assenza di condivisione del lavoro di cura è una delle cause del gender pay gap.

A livello continentale, una direttiva europea approvata lo scorso anno prevede l’applicazione della trasparenza salariale nel lavoro pubblico e incentiva la contrattazione e il contrasto alle discriminazioni. Muoversi in quella direzione sarebbe un passo importante, perché non dobbiamo dimenticare che il divario salariale comporta anche un divario a livello di pensioni. Tra questo, lavoro intermittente e lavoro di cura non retribuito, le donne versano meno contributi rispetto agli uomini trovandosi così con pensioni più povere.

In Italia i giovani e le donne sono coloro che hanno pagato di più la crisi post-Covid, soprattutto in un Paese in cui l’occupazione giovanile è bassa e l’accompagnamento al lavoro post lauream non funziona nel migliore dei modi. I riflessi di questa situazione li vediamo con il problema della denatalità, che può avere conseguenze gravi per la tenuta demografica del nostro Paese.

Il tema del divario salariale riguarda quindi la produttività delle aziende sia lo “stato di salute” di un Paese, perché se metà della sua popolazione non ha un riconoscimento alle pari nel lavoro e nelle pensioni, l’intero sistema rischia di compromettersi. Per evitare queste conseguenze, tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il numero 5 invita a realizzare l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne e il numero 8 parla di piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti.

Infine, il lavoro di cura con una persona non autosufficiente o in avanti con l’età ha spesso il volto di donne di origine straniera, che anche durante la pandemia hanno rappresentato una garanzia di tutela della salute dei più fragili. L’Organizzazione internazionale del lavoro e i sindacati internazionali puntano a che l’economia della cura sia riconosciuta, che si investa sulle infrastrutture sociali e che si punti sempre di più a una condivisione delle responsabilità e dei ruoli decisionali.

Componente del Consiglio amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil)

Liliana Ocmin: