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Il caso clorochina e le fake news in pandemia

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Un aspetto negativo del ruolo assunto da internet nel corso di questa pandemia è stato senz’altro lo spazio concesso alle fake news da parte dei social, ad esempio sull’origine del virus (la sua pre sunta produzione in laboratorio), sulla cosiddetta teoria complottistica che considera la malattia una produzione da parte di non meglio identificati potentati, sull’efficacia di questo o di quest’altro farmaco, o sulla tipologia dei comportamenti da tenere.

Emblematico è il caso della clorochina, vero e proprio affaire con, forse, risvolti politici, come da alcuni sospettato, se ricordiamo quanto dichiarato dal presidente Trump a proposito della sua efficacia (game changer). Un’importante rivista scientifica ha pubblicato un articolo che ne dimostrava la pericolosità, oltre che l’inefficacia, per poi ritirarlo alcuni giorni dopo. Tutto questo ha suscitato un ampio dibattito, con coinvolgimento anche dell’opinione pubblica, a cui “in tempi normali” non avremmo sicuramente assistito, dal momento che la discussione sarebbe rimasta confinata nel perimetro della scienza. Personalmente, non credo che quanto avvenuto per la clorochina debba rappresentare motivo di preoccupazione e tradursi in sfiducia nei confronti della scienza, dal momento che questa vicenda e altre simili hanno anche chiaramente dimostrato come il mondo scientifico sia in grado di operare un efficace controllo sui risultati e, se necessario, metterli in discussione.

Del resto Covid-19, con la sua rapida e tumultuosa diffusione e la mole di informazioni non sempre univoche che hanno accompagnato l’evoluzione della pandemia, ha in qualche caso richiesto un rapido cambiamento di posizione anche da parte di organizzazioni sanitarie autorevoli come l’Oms (ad esempio sull’uso delle mascherine, sul ruolo degli asintomatici ecc.), producendo un certo disorientamento nell’opinione pubblica che aveva invece bisogno di informazioni certe. A questo proposito, però, è bene riflettere su quanto il filosofo Dario Antiseri così  ben descrive in chiave popperiana: «Con il coronavirus si è affacciato un problema nuovo, e la scienza lo affronta andando per tentativi, sempre tenendo conto che la soluzione giusta non è una soluzione vera in termini assoluti. Ogni teoria vive sempre sotto assedio, e oggi le teorie hanno una vita più breve rispetto al passato, e dunque non c’è nulla di male nel vedere gli scienziati che si contraddicono: tentano di imparare, di capire».

In analogia a quanto avvenuto nel corso di altre epidemie in un passato anche remoto, sono riemersi bisogni, possiamo dire, primari, come procurarsi (potremmo anche dire “accaparrarsi”) il cibo nel timore di rimanerne sprovvisti. Emblematiche le immagini delle file di persone fuori dai supermercati in ore tarde della notte, o degli scaffali vuoti, che mai avremmo pensato di vedere, nei nostri contesti, se non ci fosse stata la pandemia Covid-19.

Prof. Roberto Cauda: