Lascia certamente sgomenti la vicenda di Archie Battersbee che ha portato di nuovo allāattenzione dei media londinesi la problematica sulla liceitĆ dello staccare la spina e porre cosƬ fine ad una vita umana. Una vicenda dagli aspetti controversi che non puĆ² non portare chiunque, dotato di buon senso, a porsi delle domande sul valore della vita e se, quando e perchĆ© possa o debba essere interrotta.
Archie allāetĆ di dodici anni dovrĆ partire per il suo viaggio di non ritorno. Una storia triste, nella quale si sono frammiste problematiche etiche, giuridiche, mediche, parentali ma nella quale, soprattutto, non ĆØ stata mantenuta in debita considerazione la sacralitĆ della vita umana.
Dopo Therry Schiavo, Eluana Englaro, Charlie Gard, Alfie Evans, Vincent Lambert, di nuovo il Regno Unito ripropone il tema eutanasico: i sostegni rianimatori che tengono in vita Archie Battersbee, il 12enne che da quattro mesi si trova in una stanza del London Royal Hospital, dovranno essere staccati.
Dopo una lunga serie di ricorsi giudiziari presentati da mamma Hollie e papĆ Paul che hanno definito come “un’esecuzione” spietata le sentenze emesse nei vari gradi di giudizio dalle corti del Regno Unito (nel nome del supposto “miglior interesse” del bambino fondato su elementi di “probabilitĆ ”), la Corte Europea di Strasburgo dei Diritti dell’Uomo, interpellata dai genitori, si ĆØ dichiarata ancora una volta incompetente a “interferire”, come in passato relativamente ai casi analoghi dei piccolissimi Charlie Gard e Alfie Evans.
Pur non entrando nel merito clinico della sentenza, nel metodo, il concetto della morte data nel nome ādel miglior interesseā fa rabbrividire, rievocando lāimmagine, nei vecchi film Western, del cavallo ferito e abbattuto per pietĆ al fine di non prolungarne la sofferenza
Di fatto ci si trova di fronte ad un condannato a morte, non nel senso teorico della parola, ma nel vero senso concettuale del termine; di un condannato per il quale il braccio della morte ĆØ stato sostituito da una stanza del London Royal Hospital e dove non ĆØ stata nemmeno presa in considerazione l’ipotesi, avanzata sempre dalla mamma, di trasferire Archie in strutture sanitarie estere di altri Paesi “quali l’Italia o il Giappone” pronte a garantirgli un sostegno vitale a lungo termine.
Si ĆØ giunti, secondo un principio condiviso dai piĆ¹, a proporre il concetto di autodeterminazione quale elemento imprescindibile secondo cui si puĆ², assecondando il proprio desiderio, interrompere la propria vita o quella di chi si ĆØ tutore secondo la legge.
Nel caso in questione, cosƬ come in alcuni precedenti, si ĆØ andati paradossalmente oltre in quanto neanche i genitori, che hanno la patria potestĆ sul minore, si sono potuti opporre a questa che ĆØ una vera e propria sentenza di morte. CiĆ² perchĆ© i medici inglesi hanno affermato che non ci sono evidenze scientifiche per sperare in una guarigione del giovane.
Allora viene naturalmente da porsi alcune domande: perchĆ© non viene rispettato, anche in questo caso, in nome di quella parola magica che ĆØ lāautodeterminazione il diritto dei genitori di decidere della vita del proprio figlio quando questo diritto viene assicurato, al contrario, allorchĆ© si chieda di porre fine alla vita? PerchĆ© viene negata la possibilitĆ di trasferire il giovane Archie in altri Paesi e presidi sanitari richiesti esplicitamente dai genitori?
Il grande vulnus antropologico, filosofico, bioetico e purtroppo ideologico ĆØ rappresentato dallāambiguo concetto che si ha a proposito dellāautodeterminazione secondo cui se da un lato, di fronte ad una richiesta di morte, ha valore la volontĆ del paziente o del tutore, dallāaltro, al contrario, di fronte ad una richiesta di voler continuare a vivere si sostituisce lo Stato con una sentenza di morte.
Si comprende bene come il supplire da parte dello Stato alla volontĆ genitoriale rappresenti una china molto pericolosa considerando le centinaia di migliaia di casi di disabili gravi, di stati di minima coscienza e di anziani non autosufficienti presenti nelle varie realtĆ che con questa visione ideologica e con tali motivazioni giudiziarie rischiano di essere viste come āvite non degneā di essere vissute e, quindi, da sopprimere.
E chi stabilisce se una vita ĆØ degna di esser vissuta? Lo Stato? O una commissione medica il piĆ¹ delle volte ideologizzata? Lāallocazione delle risorse? O piuttosto la persona e in sua vece i suoi cari? Dare la morte per āleggeā, per pietĆ o ancor peggio per amore, equipara lāessere umano ad un qualsiasi altro essere vivente del regno animale, ma la persona umana non ĆØ soltanto corporeitĆ ma ha la dignitĆ di persona.
Eā lecito che la sentenza di un Tribunale possa sostituirsi al desiderio di un padre e di una madre che, nelle piene facoltĆ mentali e secondo coscienza, vogliono assumersi la responsabilitĆ e lāonere di accudire il proprio figlio fino ad accompagnarlo nel suo trapasso naturale, tanto da arrivare fino ad impedir loro di portarlo amorevolmente a morire nella propria casa?
La risposta a tutte queste domande trova purtroppo riscontro in una societĆ liquida quale quella attuale dove tutto scivola addosso, cosƬ come le migliaia di morti in un conflitto insensato giustificato soltanto da sete di potere espansionistico o in una morte assurda filmata dai piĆ¹, dove un povero disabile ĆØ stato ucciso nella totale indifferenza dei ātanti spettatoriā.
Ora caro Archie, non potendo far altro, vorremmo chiederti scusa: per lāincapacitĆ che abbiamo avuto nel non saperti difendere, scusa perchĆ© ti abbiamo negato la vita, scusa per chi si ĆØ girato dallāaltra parte, scusa per quei medici che hanno dimenticato chi era Ippocrate e che si sono arresi senza coraggio nel testimoniare i valori della nostra professione che deve sempre e comunque guardare al bene della persona e del suo corpo, sempre scevra da alcun condizionamento; scusa se in nome di una falsa pietĆ sei stato sacrificato per non creare un precedente e per meri calcoli economici.
E infine vogliamo chiederti scusa perchƩ tutti noi ci ritroviamo nei genitori del giovane Archie che una drammatica sentenza ha stabilito non debba arrivare a vedere la luce del domani.