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Ecco perché la Chiesa indica la carità nella verità. Oggi più che mai

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Sono passati 13 anni e mai quanto oggi c’è bisogno di carità e verità. L’enciclica “Caritas in veritate” è stata promulgata il 20 giugno 2009. Nel 40° anniversario della “Populorum progressio” di Paolo VI. Una lezione che papa Francesco tiene ben presente nel suo magistero. Con “Carità nella verità”, infatti, Benedetto XVI dirige lo sguardo della coscienza cristiana sul mondo globalizzato. In cui all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponde l’interazione etica delle coscienze. Cioè una globalizzazione delle relazioni e dei valori. In grado di coniugare armonicamente le dimensioni dell’immanenza e della trascendenza insite nell’essere umano. Siamo nell’ambito della cultura contemporanea. Per la quale l’uomo ha solo la dimensione orizzontale. Slegata dal trascendente. Qui Joseph Ratzinger scorge la radice dell’emergenza del relativismo e del nichilismo. Del triste appiattimento. E dell’omologazione degli stili di vita.

Lettere di Papa Francesco e Papa Benedetto XVI al Convegno Fondazione Ratzinger

Benedetto XVI, dunque, propone l’individuazione di forme nuove di convivenza sociale. Di organizzazione culturale e politica. Così affronta il problema di ogni sviluppo umano vero e integrale. Di ogni uomo e di tutto l’uomo. Ciò non è questione esclusiva del sociale e dell’economia. Ma è un nodo antropologico. La recessione economica, a livello mondiale, è solo uno degli aspetti della crisi. La cui natura è antropologica. Per questo si deve prima riscoprire la verità sull’uomo. L’unica in grado di indirizzare le sue azioni. Mancando essa non può esservi agire corretto. Per superare la crisi, allora, la Chiesa propone una saldatura tra economia e antropologia. Essendo lo sviluppo legato alla concezione dell’uomo. Per la prima volta si parla di carità e di partecipazione nell’economia e nella finanza. E in questa luce, vengono riletti i tradizionali principi della dottrina sociale. Basata sulla sussidiarietà e
sulla solidarietà. Il Magistero suggerisce alcune vie per superare le ingiustizie sociali. In primis il divario tra ricchi e poveri. E cioè il condono del debito estero dei Paesi più indigenti. E uno sviluppo equo e solidale dei Paesi del Terzo Mondo. A ciò si unisce la “nuova evangelizzazione“. Benedetto XVI si mostra tanto convinto da creare dapprima un nuovo dicastero. Proprio per la nuova evangelizzazione. Per poi inventare il “Cortile dei gentili“. Uno spazio evocativo del cortile dell’antico tempio di Gerusalemme. Inteso come spazio antropologico per favorire il dialogo anche con i più “lontani” da Dio. Giovanni Paolo II aveva richiamato il dovere di purificare la memoria dalle colpe del passato. Per riacquistare credibilità come Chiesa. Benedetto XVI chiede ai cristiani di purificare sì la memoria. Ma ancor più li sollecita a chiedere perdono nella vita presente. L’Anno sacerdotale come strumento per ravvivare in ogni sacerdote l’amore per la sua missione. E la sua fedeltà agli impegni assunti. In quella circostanza, da professore, Benedetto XVI ha offerto come modello di vita sacerdotale l’esempio del santo Curato d’Ars. Umile prete di campagna, che trascorreva le sue giornate nel confessionale. Ascoltando e perdonando i peccatori. La Chiesa si interroga oggi sull’essenziale ricerca di Dio. Sul dialogo tra fede e ragione. Sul senso del Concilio Vaticano II. Sula nuova evangelizzazione. E sull’universalità della missione cristiana.Benedetto XVI richiama la Chiesa a “mettere al centro il tema di Dio e la fede. E in primo piano la Sacra Scrittura“. In tutto questo non partendo dai suoi pensieri. Ma lasciandosi condurre per mano dallo Spirito Santo. In tal modo, egli accetta di essere l’esecutore di quel progetto. Da portare avanti animato da un’intelligenza razionale
aperta al soffio dello Spirito. Giovanni Paolo II aveva indicato alla Chiesa la strada dell’evangelizzazione. Benedetto XVI si pone alla testa di questo “movimento dello Spirito”. E invita tutti i vescovi a imitarlo: “Nel nostro tempo in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi. Come una fiamma che non trova più nutrimento”. Quindi “la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo. E di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai. a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine. In Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

Giacomo Galeazzi: