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La buona politica come gesto di carità per gli ultimi

Paolo VI che forse è stato il Santo Padre che ha creduto di più nella importanza della “buona” politica , diceva che la politica è il più grande gesto di carità. Nel senso che chi fa politica decide di vivere non solo per se stesso o per la propria famiglia ma anche per la Comunità in cui vive. E così dedica il suo tempo libero a studiare i problemi della Comunità e ad organizzarsi per risolverli.

In effetti, a casa, la critica più ricorrente a chi fa il Consigliere Comunale o il Sindaco di un Paese è: “Pensi più ai problemi degli altri che a quelli della tua famiglia”. Sto parlando della “buona politica” non dei politici che si servono della politica per migliorare la propria condizione di vita o peggio per interessi personali. Ma chi si impegna in politica come servizio al Bene Comune verifica periodicamente i risultati del proprio impegno valutando quanto sia migliorato il benessere dei propri concittadini.

Nel 2015 quando i rappresentanti del Parlamento si recarono a comunicare a Sergio Mattarella la sua elezione a Capo dello Stato, il neo-Presidente salutò tutti gli italiani e in particolare coloro che non se la passavano bene. Non penso di essere stato il solo a commuovermi per la sua sensibilità, che in parte conoscevo avendo lavorato per anni nella Sede Nazionale della DC. Ora, gli italiani che non se la passavano bene a gennaio del 2015, stanno molto peggio e soprattutto sono quasi triplicati.

Chi ne chiederà conto ai Presidenti del Consiglio che hanno ricevuto in questi anni l’incarico dal Capo dello Stato? Perché gli ottimi Uffici di Bilancio Senato e Camera non presentano periodicamente un Bilancio sociale della attività dei Governi? A parte il 2019, che non fu bellissimo contrariamente alle previsioni, il 2020 è stato un anno orribile per la salute di molti ma altrettanto orribile per le tasche della metà del Paese.

Spiace che siano altri come la BEI che l’altro giorno, comunicando i finanziamenti concessi al nostro Paese, ci abbia ricordato che dal 2000 al 2019 il PIL di Francia e Germania sia cresciuto del 30% mentre quello italiano solo del 7%. La differenza nella crescita economica vuole dire centinaia di posti di lavoro in meno e vuol dire maggiore impoverimento delle fasce più deboli della nostra popolazione.

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