Ora il quadro politico italiano è completo. Il triangolo, dando per scontato l’assetto tripolare, ha trovato il suo lato con il quale si chiude la figura geometrica. Che è ben altra cosa dalla figura retorica della quadratura del cerchio. I lati di un triangolo si toccano ma non si incrociano. Un cerchio che diventata quadrato è la ricerca della perfezione. E la politica italiana è tutt’altro che perfetta. E’ la quintessenza dell’imperfezione. Al di là delle metafore i dati sono chiari: da una parte c’è il centrosinistra a trazione renziana, in evidente calo di consensi, dall’altro il centrodestra berlusconiano avvitato su se stesso, nonostante i salti mortali del cavaliere, e, infine, il Movimento 5 Stelle entrato definitivamente nel triangolo magico.
E la conquista della Capitale da parte dei grillini pone i pentastellati nell’amara, o dolce a seconda dei punti di vista, posizione di essere costretti a dimostrare cosa sono realmente in grado di fare. Sino ad oggi hanno urlato e protestato, da domani dovranno parlare e proporre. Un esercizio, quest’ultimo, tutt’altro che facile. E non solo per la gestione di Roma. Di fatto il Movimento 5 stelle è la seconda forza politica del Paese, senza alleati peraltro. Questo li pone di fronte alle proprie responsabilità. Quella parte di italiani diventati grillini si aspettano un mutamento della politica, una modificazione forte nella gestione della cosa pubblica. Una terza via non è data. Sapranno cogliere questa occasione oppure useranno la Capitale solo in prospettiva nazionale, aspettando le prossime elezioni politiche? Roma come un taxi elettorale insomma. La domanda, alla luce dei risultati dei ballottaggi, rischia di essere centrale nei prossimi giorni.
Anche perché il centrodestra, sia a Roma che a Torino, ha votato contro i candidati del centrosinistra. E questo è un altro elemento di riflessione sul quale il partito di maggioranza relativa dovrà riflettere a lungo. Il partito della nazione non c’è. Per una semplice ragione. Questo non è stato solo un voto amministrativo ma è stato una sorta di grande sondaggio sul governo, realizzato con le urne vere. E questi segnali non possono essere sottovalutati, al di là della lunga marcia di avvicinamento al referendum di ottobre sulle riforme costituzionali, considerando i valori degli uomini in campo. Tanto a Roma quanto a Milano il partito del premier, del quale è anche segretario, ha schierato uomini di primo piano, scelti e indicati direttamente da Renzi. E se nel capoluogo lombardo l’esponente indicato dai dem ha retto la prova, significa solo che il centrosinistra vive di luce riflessa. Ha vinto Sala non il centrosinistra, e Parisi ha perso perché paga la parabola decrescente della Lega, non più forza trainante.
Legando questi punti l’immagine che si ottiene è semplice e complessa al contempo. La politica economica del governo, la fretta con la quale l’esecutivo corre verso mete indistinte e indefinite, l’accentuazione dei toni sul referendum di ottobre hanno pesato o no sul voto? E il Pd ha davvero lavorato per Sala e Giachetti? Con molta probabilità gli elettori, soprattutto quelli di centrosinistra, devono aver ragionato su questi elementi, finendo per incidere sul voto. In buona sostanza il Movimento 5 Stelle con queste amministrative è diventato adulto, mentre il Pd è tornato bambino, mettendo definitivamente all’angolo il centrodestra berlusconiano. Restano aperti il caso Napoli e Torino, uniche vere realtà in cui il voto è stato davvero amministrativo. I napoletani hanno scelto convintamente Luigi De Magistris, non ascoltando le sirene del Pd e le lusinghe degli esponenti renziani. Segno evidente del peso elettorale delle periferie rispetto al centro.
E a Torino la realtà ha preso il sopravvento sulla storia, sulla tradizione di una sinistra abituata ad andare a braccetto con il potere, ovvero con la famiglia Agnelli. Il voto della città sabauda rappresenta il segno inequivocabile del cambiamento, del vento del rinnovamento, del salto di qualità dei Cinquestelle e, in parte, rappresenta un salto generazionale. Ovviamente tutto questo non significa necessariamente elezioni anticipate, invocate già dalla maggioranza dei pentastellati e da una parte del centrodestra con il sostegno della minoranza dem, ma certamente indica una temperatura diversa dell’elettorato italiano rispetto a quella raccontata dalla maggioranza di governo.