Per valutare i trend dell’occupazione non basta – come fa l’Istat – seguire le statistiche mese per mese. Sarebbe utile considerare periodi più ampi, almeno di un trimestre per evitare giudizi affrettati, magari destinati a cambiare segno nel giro di qualche settimana. Questa riflessione mi consente – come si suol dire quando si gioca a bigliardo – di “stare dalla parte dei bottoni” nel commentare i dati di marzo. Infatti l’Istat ha pubblicato delle statistiche sull’occupazione che hanno sorpreso tutti.
A prova del fatto che nessuno capisce (o non vuole capire) la realtà di questo “strano” Paese. In quel mese la guerra era nel suo pieno sviluppo; la crisi energetica, delle materie prime e dei servizi era in corso almeno dall’autunno del 2021. Tutte le previsioni erano una rincorsa al ribasso; l’incremento dell’inflazione suscitava ragionevoli preoccupazioni; i talk show rilanciavano foschi presagi invocando una resa dell’Ucraina a cui davano il nome di pace. In questo scenario il tasso di occupazione (record che vale sia per la componente maschile che per quella femminile), ha toccato il livello più elevato da quando esistono le serie storiche (siamo vicinissimi al 60%), mentre la disoccupazione è tornata ai livelli del 2010 (8,3%). Rispetto a marzo 2021, l’aumento è stato di 804 mila unità. L’occupazione femminile in un anno è aumentata di 442 mila unità.
Ricordiamo tutti quando di fronte ad un crescendo di assunzioni i dirigenti sindacali storcevano il naso osservando che si trattava di posti di lavoro a tempo determinato (e quindi di occupazione a loro avviso fasulla). A marzo non è stato così. I nuovi occupati sono in larga parte a tempo indeterminato (+103 mila), seguiti da assunti a termine (+19 mila). Invece, è tornata a calare (-41 mila) l’occupazione indipendente. Nell’ultimo anno, sottolinea l’Istat, gli occupati a termine sono cresciuti di 430 mila unità arrivando alla cifra record di 3,159 milioni. Quelli permanenti di 312 mila unità, tornando sopra ai livelli pre-pandemia. Mancano all’appello 215 mila autonomi. Cresce principalmente l’occupazione giovanile nella fascia 25-34 anni con il tasso di occupazione a +0,9%, il tasso di disoccupazione a -1% e quello di inattività a -0,1%. Cresce anche la fascia 35-49 anni (tasso occupazione +0,4%) mentre sostanzialmente stabili quella 15-24 anni e quella 50-64 anni. Depurati dalla componente demografica i dati confermano un trend molto positivo dell’occupazione giovanile under 35.
In sintesi: a marzo 2022 cresce l’occupazione, soprattutto femminile a tempo indeterminato e tra i 25 e i 34 anni. E’ interessante notare – come scrive Claudio Negro – che diminuiscono i disoccupati, cioè coloro che cercano lavoro ma non lo trovano, e contestualmente diminuiscono gli inattivi, cioè coloro che non lavorano e non lo cercano. Di norma questi due indicatori hanno segni contrapposti: il fatto che entrambi abbiano segno meno indica un mercato del lavoro in ripresa abbastanza solida: più persone cercano lavoro, e lo trovano.
L’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato dimostra che le aziende, in difficoltà nel trovare manodopera, procedono ad assumere in modo stabile proprio per fidelizzare i dipendenti che stanno approfittando delle dinamiche del marcato del lavoro dopo la pandemia (lo si vede dal numero delle dimissioni) per cercare posti di lavoro vacanti e meglio retribuiti. Evidentemente, non sono campate in aria le lamentele delle aziende e delle associazioni imprenditoriali quando segnalano un’effettive difficoltà a reperire manodopera non solo adeguata, ma anche disponibile. Devono poi essere incluse le massicce assunzioni fatte nel pubblico impiego in conseguenza della ripartenza dei concorsi. Risulta infatti che molti liberi professionisti abbiano scelto la sicurezza dell’impiego pubblico (qui ci sta anche il calo dei lavoratori indipendenti). Non intendiamo fare dell’ottimismo, anche perché siamo convinti che la situazione politica ed economica a livello internazionale è destinata a deteriorarsi. Ci permettiamo soltanto di biasimare quanti si ostinano a rappresentare una realtà che è presente soltanto – bene che vada – nella loro percezione. Ma, nella generalità dei casi, solo nella loro propaganda.